Sentenza Cassazione 2024_mutuo

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Sentenza

Commento dell'Avv. Elena Berto


La vicenda fattuale de qua trae la sua ragion d’essere dal decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, con il quale si ordinava, al debitore, il pagamento della somma di denaro prestatagli dal creditore; oltre agli interessi convenzionali, sotto forma di ‘interessi posticipati’ del 10%, da corrispondere alla scadenza di ogni annualità, fino alla risoluzione della scrittura privata negoziale; alla quale venivano allegate, a titolo di garanzia, cambiali di corrispondente valore.
Il debitore si opponeva al decreto ingiuntivo.
Il Tribunale dichiarava la nullità della clausola sugli interessi convenzionali, atteso che si accertava la natura usuraria del tasso applicato. L’operazione negoziale, pertanto, veniva sussunta nell’alveo del contratto di mutuo.
Per l’effetto, veniva revocato il decreto ingiuntivo opposto.
Sicché, tenuto conto dei pagamenti già effettuati, si condannava l’opponente alla dazione del residuo importo.
I creditori impugnavano la pronuncia scaturita dal processo cognitivo di opposizione del decreto ingiuntivo.
I giudici di seconde cure, in accoglimento del gravame proposto, e, in parziale modifica della sentenza impugnata, ritenevano valida la clausola di previsione degli interessi convenzionali.
Di conseguenza, il debitore veniva condannato al pagamento, in favore dei creditori, del complessivo quantum debeatur originariamente richiesto; detratto l’importo di quanto già versato, in esecuzione dell’ordinanza di parziale esecutività del decreto ingiuntivo opposto.
Altresì, il debitore veniva condannato al pagamento degli interessi convenzionali, calcolati dalla data di proposizione dell’azione originaria al saldo.
A sostegno della propria decisione, la Corte di secondo grado osservava quanto di seguito disposto.
Il rapporto dedotto in giudizio si sarebbe dovuto ricondurre alla categoria residuale degli “altri finanziamenti a breve, medio e lungo termine”; non già a quella del ‘mutuo,’ alla luce – non solo del contenuto della scrittura privata – bensì, altresì, dei Decreti Ministeriali, vigenti dal 1996 al 2001, nonché del D.M. del 23 agosto 2001.
Di conseguenza, il tasso convenzionalmente fissato nella scrittura privata si sarebbe dovuto considerare, notevolmente, inferiore, rispetto a quello previsto come tasso soglia per tutto il periodo di riferimento.
Neppure si sarebbe potuta considerare accertata un’ipotesi di “usura soggettiva”, posto che nulla era stato allegato dall’appellato, (i) né in merito alle difficoltà economiche in cui versava il soggetto finanziato, (ii) né con riguardo alla sproporzione degli interessi rispetto alla prestazione.
Il debitore proponeva ricorso per cassazione alla luce di due motivi.
Con il primo motivo si criticava la sentenza d’appello nella parte in cui, in riforma integrale della sentenza di primo grado, aveva ritenuto che la scrittura rientrasse nella categoria di “altri finanziamenti” anziché “mutui”; con conseguente applicazione di un diverso tasso di riferimento per la determinazione dell’usura.
Con il secondo motivo si deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1813 e 1815, comma 2, cod. civ.
Con particolare riferimento all’elemento soggettivo, il ricorrente sottolineava come la qualificazione del soggetto che eroga la somma risulterebbe rilevante e determinante, al fine di stabilire la categoria di operazione; di talché il tasso di usura non si sarebbe potuto disattendere. Peraltro, vi sarebbe stata un’enorme sproporzione, tra gli interessi legali e l’interesse del 10% convenuto nella scrittura privata. Infine, dalle circostanze di fatto provate in causa sarebbe emersa l’evidenza dell’esistenza di difficoltà economiche del debitore, da intendersi come carenza, anche solo momentanea, di liquidità.
La questione giuridica controversa, rimessa all’attenzione della Corte di Cassazione, riguarda la qualificazione del rapporto negoziale scaturente dall’operazione di “prestito” de quo.
Dall’inquadramento del contratto in esame, (i) nei negozi di finanziamento, ovvero (ii) nel contratto di mutuo, deriva la conseguente esclusione, o meno, della valutazione della natura ‘usuraria’ (oggettiva) del tasso di interessi convenzionalmente stabilito.
L’individuazione della corretta categoria negoziale cui ricondurre l’operazione di prestito di denaro oggetto di causa, nientemeno, assume importanza, per la determinazione del “limite”, riferibile alle dette operazioni, “oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” , giusta art. 2, comma 4, legge n. 108 del 1996.
Devesi tenere in particolare considerazione, di poi, la circostanza in forza della quale i Decreti Ministeriali di rilevazione del T.E.G.M. indicano ‘soglie diverse’, per i “mutui”, rispetto a quelle previste per gli “altri finanziamenti”.
La Corte di Cassazione ricorda, segnatamente, che “la legge n. 108 del 1996 ha novellato l’art. 644 del codice penale ,stabilendo che è punito con la reclusione ‘chiunque’ si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, interessi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità. La legge stabilisce che gli interessi sono usurari o quando superano il limite determinato dal Ministero dell’Economia sulla base dell’art. 2 della stessa (usura c.d. oggettiva o in astratto) ; ovvero quando, benché inferiori a tale limite, chi li dà o li promette si trovi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, ed il tasso convenuto risulti, comunque, sproporzionato rispetto alla controprestazione, considerando le caratteristiche della fattispecie concreta ed il tasso medio di operazioni simili (usura c.d. soggettiva o in concreto)”. Di talché: “il giudice civile resta, dunque, vincolato all’accertamento della sussistenza delle condizioni oggettive, previste dall’art. 644 cod. pen., per ritenere il finanziamento accordato a condizioni usurarie. Mentre, in relazione alla previsione di cui all’art. 644, comma 3, primo periodo, cod. pen., (i) da un lato, lo stato di bisogno dell’usurato (ii) e, dall’altro lato, l’approfittamento di tale stato, rileveranno solo nel caso in cui il tasso soglia oggettivo non sia superato”.
Di poi, i Giudici di legittimità espongono le conseguenze civili dell’usura, determinate dall’art. 4 della legge n. 108 del 1996. Immancabile, a onore del vero, risulta essere il richiamo dell’ art. 1815 cod. civ., il quale commina la nullità della clausola che determina gli interessi usurari, e la non debenza di qualsivoglia interesse; con conseguente trasformazione forzosa del ‘mutuo oneroso’ in ‘mutuo gratuito’.
Approfondendo più nel dettaglio, non si omette di chiarire come “la disciplina primaria del tasso soglia è contenuta nell’art. 2 della legge n. 108 del 1996, mentre le Istruzioni di Banca d’Italia hanno rilevanza solo ed esclusivamente al fine statistico della rilevazione del tasso effettivo globale medio. Le Istruzioni di Banca d’Italia sono, quindi, norme secondarie, che devono, necessariamente, conformarsi alle norme primarie di riferimento, con la conseguenza che si tratta di fonti non vincolanti, allorché si sovrappongano al dettato onnicomprensivo dell’art. 644 cod. pen., non potendone intaccare la ben precisa portata precettiva” (Sez. 2, Ordinanza n. 29501 del 2023, Rv. 669298 - 01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 19597 del 18/09/2020; Sez. U, Sentenza n. 16303 del 20/06/2018).
La “centralità sistematica” della norma penale, in punto di definizione della fattispecie usuraria rilevante, non può non valere, altresì, per l’intero arco normativo che risulta regolare il fenomeno dell’usura e, quindi, anche per le disposizioni regolamentari ed esecutive, nonché per le istruzioni emanate dalla Banca d’Italia.
Di modo ché “all’art. 644 cod. pen. debbono uniformarsi le diverse altre disposizioni che intervengono in materia, e, segnatamente, (i) l’art. 2, comma 2, Legge n. 108 del 1996, che prevede la classificazione delle operazioni accorpate per categorie omogenee (con riferimento alle quali deve, poi, rilevarsi, trimestralmente, il Tasso Effettivo Globale Medio, vale a dire il c.d. ‘T.E.G.M.’, giusta art. 2, comma 1), da effettuarsi, annualmente, con Decreto del Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio Italiano dei Cambi e pubblicata, senza ritardo, nella Gazzetta Ufficiale, tenuto conto della natura, dell’oggetto, dell’importo, della durata, dei rischi e delle garanzie; (ii) il D.M. 21.09.2001, vigente fino al 31.12.2001, data della stipula del contratto che qui interessa, e, quindi, allo stesso applicabile, il quale enucleava, come distinte categorie, tra le altre, quella dei “mutui” (categoria 9) e quella degli “altri finanziamenti a breve e medio/lungo termine” (categorie 4 e 5)”.
Secondo l’orientamento cui aderisce la Corte di Cassazione, “deve esservi simmetria tra il T.E.G.M., rilevato trimestralmente, a norma dell’art. 2, comma 1, legge n. 108 del 1996, ed il tasso effettivo globale della singola operazione (Cass. Sez. U. 2018, n. 16303, cit.). L’abbinamento tra i tassi-soglia e le categorie omogenee definite dai Decreti Ministeriali non può, cioè, esimere il giudice del merito dal compito di identificare, secondo criteri civilistici, la categoria di operazioni, tra quelle cui si riferiscono le soglie, che presenti maggiori elementi di omogeneità con la singola operazione, della cui usurarietà si controverta, così come implicitamente rilevabile dalla valutazione che lo stesso giudice è chiamato a compiere, a norma dell’art. 2, comma 4, legge n. 108.” Posto che, nella fattispecie, si tratta di verificare se l’operazione di finanziamento in esame sia da ricondurre all’una o all’altra delle categorie che quivi vengono in esame (“mutui” o “altri finanziamenti”), è da ritenere che, “in caso di dubbio circa la riconducibilità dell’operazione all’una o all’altra delle categorie, identificate con Decreto Ministeriale, cui si riferisce la rilevazione dei tassi globali medi, l’interprete debba procedere a individuare i profili di omogeneità che l’operazione stessa presenti rispetto alle diverse tipologie ivi contemplate, attribuendo rilievo, a tal fine, ai richiamati parametri normativi individuati dall’art. 2, comma 2, legge n. 108 del 1996 (natura, oggetto, importo, durata, rischi e garanzie), apprezzando, in particolare, quelli, tra essi, che, sul piano logico, meglio giustifichino l’inclusione del prestito preso in esame in questa o in quella classe di operazioni” (Cfr Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22380 del 06/09/2019).
Alla luce della ricostruzione ermeneutica sopra riportata, il Collegio non condivide l’esegesi posta in essere dal giudice di seconde cure, il quale avrebbe “forzato” le categorie ministeriali (vale a dire i Decreti Ministeriali, vigenti dal 1996 al 2001, nonché il D.M. del 23 agosto 2001) e le Istruzioni della Banca d’Italia, per potervi sussumere la scrittura privata in esame. Sicché il rapporto dedotto in giudizio, secondo i giudici di legittimità, devesi ricondurre al negozio di mutuo, e non, invece, alla categoria residuale degli “altri finanziamenti a breve, medio e lungo termine”.
Non è ritenuta meritevole di accoglimento, infine, l’ultima censura articolata nel secondo mezzo di gravame, in merito all’asserita sussistenza dell’usurarietà soggettiva, attesa la motivata esclusione, del giudice di seconde cure, delle difficoltà economiche, sul piano probatorio, ritenendo non dimostrata, da parte del debitore, la sproporzione del rapporto, sul piano qualitativo.
La pronuncia di secondo grado, dunque, è stata cassata, in parte qua, ed il giudizio è stato rinviato, nuovamente, in seconde cure, ai fini della corretta qualificazione del rapporto negoziale di cui è causa, con individuazione del tasso soglia di riferimento, alla luce dei principi esposti.
Ciò in quanto la qualificazione di un contratto in termini di mutuo o di altra forma di finanziamento spetta al giudice di merito e deve essere valutata con riferimento, in particolare, “al rapporto in causa, rispetto al quali assumono rilievo soprattutto: la natura del prestito (se trattasi di un negozio tra privati, non tra professionisti quali banche o intermediari non bancari, rispetto al quale dovrebbe essere chiarita l’eventuale funzione di scopo del finanziamento tale da integrare la struttura tipica del negozio, ampliandone la causa). Nonché, con riferimento ai rischi assunti dai creditori, la corresponsione annuale di interessi convenzionali e il pagamento della quota capitale per intero, oltre alla dazione di garanzie personali (cambiali)”.


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