Mutamenti giurisprudenziali in malam partem - art. 5 cp e colpevolezza

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Sentenza

Commento dell'Avv. Elena Berto


La Corte di Cassazione penale, con la pronuncia de qua, si occupa della rilevanza dei mutamenti giurisprudenziali in malam partem, unitamente alla tematica della prevedibilità delle decisioni giudiziarie, nonché nell’ottica del principio di colpevolezza.

Ad essere stato affermato, invero, è il principio di diritto di seguito esposto: “costituisce causa di esclusione della colpevolezza il mutamento di giurisprudenza in malam partem, nel caso in cui l’imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento su una regola stabilizzata – enunciata dalle Sezioni Unite– che escludeva la rilevanza penale della condotta, e non vi erano segnali, concreti e specifici, che inducessero a prevedere che, in futuro, le stesse Sezioni Unite avrebbero attribuito rilievo a quella condotta, rivedendo il precedente orientamento in senso peggiorativo”.

I giudici di legittimità, nello specifico, si sono occupati del ‘mutamento dei formanti giurisprudenziali’ che rendono “penalmente rilevante ciò che prima era lecito”, in totale spregio al principio del favor rei.

Precipuamente, l’orientamento giurisprudenziale modificatosi in malam partem, oggetto di discussione, costituirebbe un mutamento ermeneutico di carattere “non tanto evolutivo”, quanto, piuttosto, sostanzialmente, “innovativo”.

Ed invero, nell’arco della dissertazione giuridica resa oggetto della pronuncia in esame, vengono approfondite, in modo puntuale, le due categorie dottrinarie, da un lato, (i) del c.d. del mutamento evolutivo, e, dall’altro lato, (ii) del c.d. mutamento innovativo.

Segnatamente, il c.d. “mutamento evolutivo” si realizzerebbe quando, nella pressoché assenza di precedenti, si estende la portata applicativa della fattispecie incriminatrice attraverso una interpretazione che arricchisce, specifica, integra, ovvero, adegua, il significato precedentemente attribuito all’enunciato legislativo, permettendo alla norma, cristallizzata nella disposizione, di adattarsi ad un nuovo contesto storico-normativo.

Di contro, il c.d. “mutamento innovativo” si rinverrebbe allorquando si ravvisi la necessità – di stampo giurisprudenziale – di “porre rimedio”, nell’immutato contesto di riferimento, a quello che viene, di fatto, ritenuto, dall’interprete, come un vuoto di tutela derivante da una precedente interpretazione, considerata non più condivisibile.

Rispetto al tema, per certi versi simile e sovrapponibile, della ‘natura dichiarativa’ della norma di legge, testualmente, la Corte di Cassazione penale afferma che: “in tale contesto, sia che si voglia attribuire al mutamento giurisprudenziale una valenza sempre più assimilabile a quella che si realizza con una modifica normativa in malam partem (cfr., Sez. Un., n. 18288 del 21/01/2010, Beschi, Rv. 246651), sia che, invece, si voglia attribuire al ‘diritto vivente’ la tradizionale valenza meramente ‘dichiarativa’ della reale portata della norma di legge (Corte cost., n. 230 del 2012, in tema di mutamento giurisprudenziale favorevole al reo; cfr., anche Corte cost. n. 24 del 2017; Corte cost. n. 115 del 2018; Corte cost. n. 9 del 2021), il mutamento giurisprudenziale sfavorevole pone ‘questioni’ perché è destinato a ‘colpire’ anche chi ha commesso il fatto anteriormente ad esso, quando predominava l’orientamento ‘favorevole’, generatore di affidamento”.

Viene, nientemeno, expressis verbis, chiarito che: “gli esiti interpretativi che l’agente non è in grado di rappresentarsi, al momento del fatto, devono ritenersi imprevedibili”.

Si rende evidente come la fattispecie incriminatrice contestata all’imputato, al momento in cui fu commesso il fatto, non costituiva reato, in ragione della diversa regola fissata dalle Sezioni Unite (risalenti al 2011). Al contrario, la condotta avrebbe assunto rilievo penale, anni dopo la sua commissione, a seguito di un mutamento della giurisprudenza di legittimità (risalente al 2017).

In particolare, si precisa come, al momento in cui i fatti furono commessi, esisteva una regola rispetto alla quale non vi era un effettivo e concreto “contrasto giurisprudenziale”, nè sincronico e neppure diacronico.

Sicché, nel caso di specie, l’imputato, al momento in cui i fatti furono commessi, poteva fare affidamento su una regola stabilizzata che escludeva la rilevanza penale della propria condotta, non essendovi né concreti né specifici “segnali” che inducessero a prevedere che, dopo cinque anni dalla pronuncia attenzionata (in bonam partem), le Sezioni Unite della Corte avrebbero, in seguito, attribuito, a quella condotta, rilievo penale, rivedendo, in senso “peggiorativo”, il precedente orientamento.

Notoriamente, il contrasto giurisprudenziale di tipo “sincronico”, si ha quando due o più interpretazioni difformi della medesima norma coesistono nel medesimo intervallo temporale. Siffatto contrasto incide sul principio di determinatezza e di prevedibilità delle decisioni, impedendo ai consociati di calcolare le conseguenze giuridico-penali della propria condotta.

Diversamente, il c.d. contrasto di tipo “diacronico”, si ha quando risulta rinvenibile l’esistenza di una linea interpretativa “affermata” in un determinato lasso temporale che, tuttavia, viene smentita da una decisione successiva, che dà luogo ad una “svolta” giurisprudenziale in senso sfavorevole all’imputato. Siffatto contrasto, oltre ad incide sul principio di prevedibilità, altresì, evoca, in senso lato, il tema della irretroattività della “norma” penale sfavorevole.

Tra i passaggi più significativi della sentenza, di poi, non può non rinvenirsi quello che mette a confronto, da un lato, l’istituto della successione delle leggi sostanziali nel tempo, e, dall’altro lato, il principio di colpevolezza.

Ed effettivamente, si legge come: “ove si assimili il c.d. mutamento giurisprudenziale imprevedibile ad una norma penale sfavorevole sopravvenuta, il tema della tutela dell’affidamento incolpevole e della prevedibilità delle conseguenze della propria condotta, troverebbe il suo riferimento nell’applicazione dell’art. 2 cod. pen. e, dunque, nella irretroattività della applicazione della ‘norma’ sopravvenuta ai fatti in precedenza commessi. Ove si ritenga, invece, di non equiparare il mutamento giurisprudenziale sfavorevole ad una norma penale sopravvenuta che allarga la tipicità della fattispecie, il tema ‘passa’ e si interseca con quello della colpevolezza e, sotto il profilo soggettivo, della calcolabilità delle conseguenze giuridiche e della prevedibilità delle decisioni”.

I giudici di legittimità, ancora una volta, non omettono di ricorrere alle categorie che sono state oggetto di riflessione in dottrina, puntualizzando che il principio di prevedibilità opera “come un indicatore di direzione, come una fondamentale esigenza del sistema”; vale a dire come espressione “di una forte esigenza di stabilità ed uniformità del prodotto normativo risultante dall’integrazione tra fonte legislativa e fonte giurisprudenziale nella norma vivente”. Con la diretta conseguenza che ciò che dovrebbe essere verificato, dal punto di vista delle garanzie di cui all’art. 7 CEDU, risulta essere: “se l’individuo potesse concretamente prevedere l’estensione interpretativa sulla base delle indicazioni della giurisprudenza – giuste o sbagliate che fossero – nello stato in cui si trovava al momento della commissione del fatto”.

Il tema della ‘prevedibilità’, di poi, non è distante da quello della ‘conoscibilità’ del precetto, e, quindi, della norma penale destinata ad operare nel caso concreto; nonché della ‘colpevolezza’, intesa nell’ottica di una responsabilità soggettivamente rimproverabile. In siffatto contesto, sono richiamati i principali passaggi argomentativi – sul principio di colpevolezza – della storica sentenza della Consulta n. 364 del 1998, pronunciatasi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen., dichiarato illegittimo nella parte in cui non escludeva, dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale, l’ignoranza inevitabile. E non v’è chi non veda come la Corte di Cassazione penale aderisca, pienamente, alle fondamentali determinazioni della storica pronuncia dei Giudici delle Leggi che ha segnato l’affermazione del moderno principio costituzionale di colpevolezza, declinandone il fondamento, alla luce degli artt. 2, 3, 25, comma secondo, 27, commi primo e terzo e 73, comma terzo, Cost. E, nientemeno, non sembra potersi fare a meno di riflettere sull’assunto in forza del quale il mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale passi attraverso la necessità di considerare il diritto individuale dell’imputato alla ‘prevedibilità’ della decisione. In tal senso, soccorre, propriamente, l’art. 5 cod. pen. Siffatta norma consente . Motivo per il quale appare inevitabile concludere nel senso che: “la colpevolezza è capace di tutelare l’individuo contro le incertezze e i difetti della produzione giuridica, legislativa e giurisprudenziale, giacché essa si modella alle effettive capacità conoscitive del soggetto concreto, realizzando il principio di responsabilità”.


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