Corte giustizia UE sez. II - 19:09:2024, n. 264 commento

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Sentenza

Commento dell'Avv. Elena Berto


Trattasi della causa C-264/23, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di Giustizia U.E., ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., dal Rechtbank Amsterdam (vale a dire dal Tribunale di Amsterdam), con decisione del 22 febbraio 2023, nell’ambito della controversia tra, da un lato, “ Booking.com BV, Booking.com (Deutschland) GmbH”, e, dall’altro lato, la “25 hours Hotel Company Berlin GmbH”, unitamente ad altre 62 strutture alberghiere situate in Germania; in merito alla validità, delle clausole di parità della tariffa utilizzate in ‘accordi verticali’ e ‘pratiche concordate’, da Booking, nei contratti stipulati con gli esercizi alberghieri sopra richiamati; stante la paventata violazione del diritto della concorrenza, discendente dall’interpretazione del combinato disposto dell’ art. 101 del TFUE e del Regolamento della Commissione n. 330 del 2010.

Booking, come noto, è una società di diritto olandese con sede in Amsterdam (Paesi Bassi), fondata nel 1996; che offre un servizio mondiale di intermediazione per la prenotazione di alloggi, mediante la sua piattaforma online. Essa non determina gli alloggi, né i prezzi corrispondenti, proposti sulla sua piattaforma, dato che tali elementi sono definiti dalle strutture alberghiere. Sicché Booking si limita a mettere in contatto, sulla sua piattaforma, da un lato, le strutture alberghiere e, dall’altro lato, i viaggiatori. Mentre i servizi offerti dalla piattaforma gestita da Booking sono gratuiti per i viaggiatori; le strutture ricettive, invece, pagano una commissione, nel caso in cui un cliente effettui una prenotazione mediante tale piattaforma, salvo il caso in cui la prenotazione sia poi annullata. V’è da specificare – poiché rilevante ai fini della rilevazione dell’alterazione della concorrenza – come, indipendentemente da detta piattaforma, tali strutture possono utilizzare canali di vendita alternativi.

Al momento del suo ingresso sul mercato tedesco, nel 2006, Booking inseriva nelle condizioni generali degli accordi, conclusi con i prestatori di servizi alberghieri, una clausola cosiddetta di “parità ampia”. In forza di dette clausola, tali prestatori non erano autorizzati ad offrire, sui propri canali di vendita, o su canali di vendita gestiti da terzi, stanze ad un prezzo inferiore a quello offerto sul sito1.

A partire dal 1º luglio 2015, Booking si è impegnata, di concerto con le autorità francesi, italiane e svedesi, garanti della concorrenza, a rimuovere la clausola di “parità ampia”, dalle sue condizioni generali di contratto, nonché a sostituirla con una cosiddetta clausola “di parità ristretta”, in base alla quale il divieto posto ai fornitori di servizi alberghieri di offrire le loro camere a prezzi migliori di quelli offerti su Booking si applica solo alle “offerte fatte attraverso i propri canali di vendita”.

Con decisione del 2015, adottata dopo aver consultato la Commissione2, ai sensi dell’art. 11, paragrafo 5, Regolamento n. 1 del 2003, l’Autorità federale garante della concorrenza ha ritenuto che, anche tale clausola di parità ristretta, fosse contraria al divieto di intese ai sensi del diritto dell’Unione e del diritto tedesco, e ha ingiunto a Booking di cessarne l’utilizzo.

Con una sentenza del 4 giugno 2019, l’Oberlandesgericht Düsseldorf (Tribunale superiore del Land, Düsseldorf) ha accolto, in parte, il ricorso proposto dalla Booking avverso detta decisione del 22 dicembre 2015. Tale giudice ha ritenuto, in particolare, che la clausola di parità ristretta limitasse, sì, la concorrenza, ma potesse, tuttavia, in quanto “restrizione accessoria”, essere considerata “necessaria” per consentire a Booking di percepire un’equa remunerazione per la sua prestazione di servizi.

In altri termini, sarebbe sleale, da parte delle strutture alberghiere, iscriversi alla piattaforma di prenotazione di Booking, ma, incitare, di poi, i clienti a prenotare direttamente presso di loro, offrendo migliori tariffe sul proprio sito.

Sicché, secondo il Tribunale, la possibilità per le strutture alberghiere di trasferire le prenotazioni verso i propri sistemi di prenotazione costituisce una giustificazione sufficiente perché Booking impedisca, contrattualmente, a tali strutture, di svolgere attività di ‘parassitismo’ (free riding). Pertanto, tale clausola non poteva, secondo il medesimo giudice, essere considerata in contrasto con il divieto di intese previsto dall’art. 101, paragrafo 1 T.F.U.E.

Nel corso del 2020, l’Hotelverband Deutschland e. V., un’associazione che rappresenta più di 2600 hotel, ha intentato un’azione di risarcimento danni contro Booking, dinanzi al Landgericht Berlin, (Tribunale del Land, Berlino, Germania), chiedendo un risarcimento per il danno che i membri dell’associazione sostengono di aver subìto a causa delle clausole di parità della tariffa.

Con una decisione del 18 maggio 2021, il Bundesgerichtshof (Corte Federale di Giustizia, in Germania), investito di un’impugnazione proposta dall’Autorità federale garante della concorrenza, ha annullato la decisione dell’Oberlandesgericht Düsseldorf (Tribunale superiore del Land, Düsseldorf) del 4 giugno 2019.

Esso ha statuito che la clausola di parità ristretta limitava sensibilmente la concorrenza sul mercato delle piattaforme di prenotazione alberghiera online nonché su quello dei servizi alberghieri. Una siffatta clausola non poteva essere qualificata come ‘restrizione accessoria’, poiché non era dimostrato che, in sua assenza, la redditività di Booking sarebbe stata compromessa. Tale clausola non potrebbe, neppure, beneficiare di un’esenzione, come quelle prospettate.

Il 23 ottobre 2020, Booking, conseguentemente, adiva il Rechtbank Amsterdam (Tribunale di Amsterdam, Paesi Bassi), giudice del rinvio, con una domanda diretta a far dichiarare, da un lato, (i) che le clausole di parità da esso utilizzate non violassero l’art. 101 TFUE; (ii) e, dall’altro, che i convenuti nel procedimento principale non avessero subito alcun danno.

Secondo il giudice adito, la questione da chiarire in primo luogo è se le clausole di parità della tariffa, tanto ampie quanto ristrette, debbano, ai fini dell’applicazione dell’art. 101, paragrafo 1 T.F.U.E., essere qualificate come ‘restrizioni accessorie’. In secondo luogo, nell’ipotesi in cui si dovesse considerare che le clausole di parità controverse non possono essere qualificate come ‘restrizione accessoria’, il giudice del rinvio ritiene che occorrerebbe allora chiarire se tali clausole possano essere “esentate”. Ai fini dell’applicazione del Regolamento n. 330/2010, sarebbe necessario sapere come definire il mercato dei prodotti rilevante.

In tali circostanze, il Rechtbank Amsterdam (Tribunale di Amsterdam) ha deciso di sospendere il procedimento principale, al dichiarato fine di sottoporre, alla Corte di Giustizia U.E., le seguenti questioni pregiudiziali: “1) Se le clausole di parità, ampie e ristrette, nel contesto dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, debbano essere considerate una restrizione accessoria. 2) Come debba essere definito il mercato rilevante in sede di applicazione del regolamento [n. 330/2010] allorché le transazioni sono effettuate tramite l’intermediazione di una [OTA] dove strutture ricettive possono offrire camere e entrare in contatto con viaggiatori che possono prenotare una camera mediante la piattaforma”. La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata considerata ricevibile. La Corte di Giustizia U.E. (Seconda Sezione) adito ha dichiarato quanto di seguito disposto: “1) l’art. 101, par.1 del TFUE devesi interpretare nel senso che: le clausole di parità, sia ampia che ristretta, inserite negli accordi conclusi tra le piattaforme di prenotazione alberghiera online e i prestatori di servizi alberghieri, non esulano dall’applicazione di tale disposizione per il fatto che sarebbero accessorie3 a detti accordi. 2) L’art. 3 par. 1, del Reg. UE n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione, dell’art. 101, par.3 del TFUE, a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, deve essere interpretato nel senso che: in una situazione in cui una piattaforma di prenotazione alberghiera online funge da intermediario, nelle transazioni concluse tra strutture alberghiere e consumatori, la definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione delle soglie delle quote di mercato stabilite in tale disposizione richiede un esame concreto della sostituibilità, dal punto di vista dell’offerta e della domanda, tra i servizi di intermediazione online e gli altri canali di vendita”.

Quanto alla prima questione, occorre distinguere tra la nozione di “restrizioni accessorie” quale esaminata nell’ambito dell’ART. 101, paragrafo 1, TFUE, e “l’esenzione” fondata sull’art. 101, paragrafo 3, TFUE. A differenza di quest’ultima, la condizione relativa alla necessità oggettiva, per qualificare, ai fini dell’applicazione dell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, una restrizione come “accessoria”, non implica una ponderazione degli effetti proconcorrenziali e anticoncorrenziali di un accordo. Infatti, tale ponderazione può essere operata unicamente nel contesto dell’art. 101, paragrafo 3, TFUE. (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C-382/12 P, EU:C:2014:2201, punto 93).
Nel caso di specie, la Corte di Giustizia muove dall’osservazione di due fondamentali assunti.

  • In primo luogo, è certamente vero che l’operazione principale, ossia la fornitura di servizi di prenotazione alberghiera online da parte di piattaforme come Booking, ha prodotto un effetto neutrale, se non addirittura positivo, sulla concorrenza. Tali servizi inducono significativi incrementi di efficienza, consentendo, da un lato, ai consumatori, di accedere ad un’ampia gamma di offerte di alloggio e di confrontare tali offerte in modo semplice e rapido secondo diversi criteri, e, dall’altro, ai prestatori di servizi alberghieri di acquisire una maggiore visibilità nonché di aumentare, in tal modo, il numero di potenziali clienti.


  • In secondo luogo, tuttavia, non è dimostrato, per contro, che le clausole di “parità della tariffa”, da una parte, siano oggettivamente necessarie per la realizzazione di tale operazione principale e, dall’altra, siano proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito da quest’ultima.


Declinando siffatti postulati4 nelle dinamiche della fattispecie concreta, è dato constatare che, per quanto riguarda le clausole di parità ampia, volte a vietare agli albergatori (che figurano sulla piattaforma di prenotazione) di offrire, sui propri canali di vendita, camere ad un prezzo inferiore a quello proposto su detta piattaforma, esse non appaiono oggettivamente necessarie per l’operazione principale, consistente nella prestazione di servizi di prenotazione alberghiera online, né proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito da tale operazion5.

Quanto alla seconda questione6, il giudice del rinvio chiede se il mercato di “prodotti rilevante”, ai fini dell’applicazione della “soglia della quota di mercato”, stabilita dal Regolamento 330/2010 (art. 3, par.1, e art. 2), sia il “mercato delle piattaforme alberghiere”, definito come “il mercato in cui le piattaforme alberghiere online offrono servizi di intermediazione ai prestatori di servizi alberghieri ”, o se il mercato rilevante sia “più ampio” di quello dei portali di prenotazione alberghiera.

A questo proposito, giovi tenere in debita considerazione come al fine di determinare il mercato rilevante, devesi verificare se esista, concretamente, una sostituibilità tra i servizi di intermediazione online, e gli altri canali di vendita, indipendentemente, dal fatto che tali canali presentino caratteristiche diverse e non offrano le stesse funzionalità di ricerca e di comparazione delle offerte di servizi alberghieri.

Sicché per determinare la quota di mercato detenuta da Booking, come fornitore di servizi di intermediazione online, ai prestatori di servizi alberghieri, ai fini dell’applicazione dell’art. 3, paragrafo 17, Regolamento 330 del 2010, è, quindi, necessario esaminare se altri tipi di servizi di intermediazione e altri canali di vendita siano sostituibili ai servizi di intermediazione dal punto di vista della domanda, da un lato, da parte dei prestatori di servizi alberghieri, di tali servizi di intermediazione e, dall’altro, da parte dei clienti finali. Tale valutazione deve essere fatta, a parere della C.G.U.E., dal giudice del rinvio.


1 Con decisione del 2013, il Bundeskartellamt (Autorità federale garante della concorrenza della Germania) concludeva, in tal senso, che la clausola di “parità ampia”, utilizzata dalla Hotel Reservation Service Robert Ragge GmbH, analoga a quella utilizzata da Bookin.com, fosse in contrasto con il divieto di intese vigente nel diritto dell’Unione e nel diritto tedesco, e ha ingiunto la cessazione del suo utilizzo. Con sentenza del 9 gennaio 2015, l’Oberlandesgericht Düsseldorf (Tribunale superiore del Land, Düsseldorf, Germania) respingeva il ricorso proposto dalla HRS avverso la decisione di detta autorità del 20 dicembre 2013. Tale sentenza non è stata impugnata, ed è, quindi, passata in giudicato.

2  Tale autorità ha ritenuto, in sostanza, che siffatte clausole limitassero la concorrenza sia sul mercato della fornitura di servizi alberghieri sia sul mercato della fornitura di servizi di intermediazione online da parte delle piattaforme ai prestatori di servizi alberghieri. Detta autorità ha inoltre considerato che, a causa della quota significativa detenuta da Booking nel mercato rilevante, tali clausole non potessero essere esentate ai sensi del Regolamento 330/2010, e che non fossero soddisfatte nemmeno le condizioni per l’applicazione di un’esenzione individuale ai sensi dell’art. 101, paragrafo 3 T.F.U.E.

3 Affinché una restrizione possa essere qualificata come “accessoria”, occorre, in primo luogo, verificare se la realizzazione dell’operazione principale sprovvista di tale carattere anticoncorrenziale risulterebbe impossibile in mancanza della restrizione in discussione. La circostanza che la citata operazione sia semplicemente resa più difficilmente realizzabile, o meno redditizia, in assenza della restrizione di cui trattasi non può essere considerata di natura tale da conferire a detta restrizione il carattere “oggettivamente necessario” richiesto per poter essere qualificata come accessoria. Un’interpretazione del genere, infatti, equivarrebbe ad estendere tale nozione a restrizioni che non sono strettamente indispensabili per la realizzazione dell’operazione principale. Siffatto risultato pregiudicherebbe l’effetto utile del divieto sancito dall’art. 101, paragrafo 1, T.F.U.E. (v., in tal senso, sentenze dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C-382/12 P, EU:C:2014:2201, punto 91; del 23 gennaio 2018, F. Hoffmann-La Roche e a., C-179/16, EU:C:2018:25, punto 71, nonché del 26 ottobre 2023, EDP - Energias de Portugal e a., C-331/21, EU:C:2023:812, punto 90). In secondo luogo, occorre, se del caso, esaminare la proporzionalità della restrizione in discussione rispetto agli obiettivi soggiacenti all’operazione in questione. Così, per smentire il carattere accessorio di una restrizione, la Commissione e le autorità nazionali garanti della concorrenza possono verificare se esistano soluzioni alternative realistiche, meno restrittive della concorrenza, rispetto alla restrizione di cui trattasi. Tali soluzioni alternative non sono limitate alla situazione che si verificherebbe in assenza della restrizione in questione, ma possono anche estendersi ad altre ipotesi controfattuali basate, segnatamente, su situazioni realistiche che potrebbero verificarsi in assenza di tale restrizione (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C-382/12 P, EU:C:2014:2201, punti da 107 a 111).

4 Come risulta dalla giurisprudenza, l’applicazione della nozione di “restrizione accessoria”, che determina se una restrizione può esulare dal divieto di cui all’art. 101, paragrafo 1 TFUE, non deve portare a un amalgama tra, da un lato, le condizioni stabilite dalla giurisprudenza affinché una restrizione sia qualificata come “accessoria” ai fini dell’applicazione dell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, e, dall’altro, il criterio di indispensabilità richiesto dall’art. 101, paragrafo 3, TFUE, affinché una restrizione vietata possa godere di un’esenzione. Quando si esamina il carattere oggettivamente necessario di una restrizione in relazione all’operazione principale, non si tratta di analizzare se, tenuto conto della situazione della concorrenza sul mercato rilevante, tale restrizione sia necessaria per garantire il successo commerciale dell’operazione principale, bensì di determinare se, nel contesto particolare di tale operazione, la restrizione in questione sia indispensabile per la realizzazione di detta operazione. Solo le restrizioni che erano intrinsecamente necessarie affinché l’operazione principale potesse in ogni caso essere realizzata hanno potuto essere qualificate come “restrizioni accessorie”. Ciò è accaduto nella causa sfociata nella sentenza del 28 gennaio 1986, Pronuptia de Paris (161/84, EU:C:1986:41). In tale sentenza, la Corte ha dichiarato che le clausole dei contratti di franchising, indispensabili per il funzionamento del sistema negoziale di riferimento, non costituivano restrizioni della concorrenza. Ciò valeva per le clausole che impedivano che i concorrenti si giovassero del patrimonio di cognizioni e di tecniche fornito dal concedente. Del pari, talune clausole disciplinavano il controllo necessario per preservare l’identità e la reputazione della rete dei concessionari, contraddistinta dall’insegna del concedente. Sebbene sia di natura relativamente astratta, l’esame del carattere oggettivamente necessario di una restrizione in relazione all’operazione principale può, in particolare, basarsi su un’analisi controfattuale che consenta di esaminare come i servizi di intermediazione online avrebbero operato in assenza della clausola di parità (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C-382/12 P, EU:C:2014:2201, punto 164). Orbene, dall’analisi condotta dalla Corte è risultato che, sebbene le clausole di parità, tanto ampia quanto ristretta, siano state vietate in diversi Stati membri, la fornitura dei servizi da parte di Booking non è stata compromessa.

5 Sicché non è dato rinvenire alcun nesso intrinseco tra, da un lato, (i) la continuazione dell’attività principale della piattaforma di prenotazione alberghiera, e, dall’altro lato, (ii) l’imposizione di siffatte clausole, che producono, con ogni evidenza, effetti restrittivi significativi. Tali clausole, peraltro, oltre al fatto di essere idonee a ridurre la concorrenza tra le diverse piattaforme di prenotazione alberghiera, comportano rischi di espulsione delle piccole piattaforme e delle nuove piattaforme entrate sul mercato. Lo stesso dicasi per le clausole di “parità ristretta”, che vietano soltanto ai prestatori di servizi alberghieri partner di offrire al pubblico, tramite i propri canali online, pernottamenti, a una tariffa inferiore, a quella offerta sulla piattaforma di prenotazione alberghiera. Per quanto queste ultime clausole generino, prima facie, un effetto restrittivo della concorrenza inferiore, e mirino a scongiurare il rischio di parassitismo evocato, non risulta che esse siano oggettivamente necessarie per garantire la redditività economica della piattaforma di prenotazione alberghiera.

6 Come enunciato, (i) sia al punto 2 della comunicazione del 1997 della Commissione, sulla definizione del mercato rilevante, ai fini dell’applicazione del diritto comunitario, in materia di concorrenza (GU 1997, C 372, pag. 5), (ii) sia al punto 6, della comunicazione rivista, del 2024, della Commissione, sulla definizione del mercato rilevante, ai fini del diritto dell’Unione, in materia di concorrenza (GU 2024, C 1645, pag. 1), la definizione del mercato consente di individuare e definire l’ambito nel quale le imprese interessate sono in concorrenza. Dalla giurisprudenza della Corte risulta che la nozione di “mercato rilevante” implica che vi possa essere concorrenza effettiva tra i prodotti o servizi che ne fanno parte, il che presuppone un sufficiente grado di intercambiabilità, per lo stesso uso, tra tutti i prodotti o servizi, che fanno parte dello stesso mercato. L’intercambiabilità o la sostituibilità non si valuta unicamente in relazione alle caratteristiche oggettive dei prodotti e dei servizi di cui trattasi. Si devono prendere in considerazione anche le condizioni della concorrenza, nonché la struttura della domanda e dell’offerta nel mercato [sentenze del 23 gennaio 2018, F. Hoffmann-La Roche e a., C-179/16, EU:C:2018:25, punto 51 e giurisprudenza ivi citata, e del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C-307/18, EU:C:2020:52, punto 129].

7 Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 330/2010, l’esenzione di cui all’articolo 2 del medesimo regolamento, si applica a condizione che la quota di mercato, detenuta dal fornitore, non superi il 30% del mercato rilevante, sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto; e che la quota di mercato detenuta dall’acquirente non superi il 30% del mercato rilevante, sul quale acquista i beni o servizi oggetto del contratto.


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