Commento - T.A.R. Emilia-Romagna sez. I - Parma, 02:09:2024, n. 219

Commento dell'Avv. Elena Berto
La controversia oggetto del presente giudizio attiene alla paventata violazione dell’art. 7 della Legge n. 241 del 1990, rubricato “comunicazione di avvio del procedimento amministrativo”. In particolare, viene affrontata la questione della natura giuridica dell’ordine di sospensione e demolizione di lavori edilizi abusivi. . Più nello specifico, la sentenza annotata merita di essere approfondita giacché affronta la nota querelle ermeneutica in ordine alla efficacia giuridica della S.C.I.A ., nonché della sua interazione rispetto ai poteri (i) inibitoi, (ii) repressivi, nonché di (iii) “autotula decisoria” della P.A. (id est: “autotutela decisoria sui generis”), esercitabili in caso di difformità edilizie abusive.
Prendendo posizione sulla controversa questione, in modo chiaro ed inequivocabile, si chiarisce come siffatti “poteri sospensivi” e “demolitivi”, invero, non risultino ascrivibili all’alveo dei “poteri inibitori” e “repressivi” che l’Amministrazione può esercitare sugli effetti della S.C.I.A., entro il termine perentorio di trenta giorni, o, anche decorsi i trenta giorni – dal deposito della segnalazione – ricorrendo i presupposti per l’esercizio del “potere di autotutela”.
Viene in rilievo, nientemeno, il tema dell’esercizio di “poteri strettamente vincolati”, a fronte di “interventi edilizi abusivi” , poiché contrastanti con le segnalazioni certificate prodotte, e, quindi, realizzati in assenza di idonei titoli abilitativi.
Ed altresì, la sentenza quivi segnalata appare essere piuttosto interessante, atteso che affronta il noto e correlato tema – discusso nella giurisprudenza amministrativa (anche del Consiglio di Stato: Cfr Consiglio di Stato, Sez. VI, 05.07.2024, n. 5968) – della “non operatività” delle “garanzie partecipative”, nell’ambito dei procedimenti di accertamento degli abusi edilizi.
Non v’è chi non veda come la “natura vincolata” dei provvedimenti di sospensione e demolizione di lavori edilizi abusivi, evidentemente, renderebbe “totalmente ininfluente” la partecipazione procedimentale del privato, garantita, ad esempio, dall’avviso di avvio del procedimento.
Sicché l’ordine di demolizione dell’abuso costituirebbe provvedimento adottato ad esito di un iter procedimentale che non necessiterebbe di essere preceduto dall’avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990.
La pronuncia in esale verte sulle tematiche de quibus.
Il TAR Parma chiarisce che non è rinvenibile una violazione della garanzia partecipativa, giusta art. 7 della Legge 241 del 1990, in ipotesi di procedimenti volti ad accertare abusi edilizi. Sicché i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, quali l’ordinanza di sospensione e di demolizione dei lavori, non necessitano di essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento. L’intervento del Comune – attuato, prima, con l’ordine di sospensione dei lavori, e, successivamente, con l’ordine di demolizione – non è ascrivibile all’alveo dei poteri inibitori e repressivi che l’Amministrazione può esercitare sugli effetti giuridici della S.C.I.A., entro il termine perentorio di trenta giorni, o, anche decorsi i trenta giorni dal deposito della segnalazione, ricorrendo i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela. Viene in rilievo, nel caso di specie, l’esercizio di un “potere strettamente vincolato”, meramente accertativo di un intervento edilizio abusivo, in quanto contrastante con le segnalazioni certificate prodotte e, quindi, realizzato in assenza di idoneo titolo abilitativo.
Volendo declinare siffatte considerazioni di ordine teorico e generale nel caso di specie, si prenda in esame – quanto di seguito rappresentato – rispetto alla vicenda processuale.
Nel caso in esame, viene in rilievo l’unità immobiliare, identificata al “Catasto del Comune di Piacenza”, al foglio (…), particella (…), subalterno (…), facente parte del complesso denominato “Condominio (…)”, sito nel Comune di Piacenza, alla via (…), per la quale erano state presentate: 1) S.C.I.A. n. 552 del 6 marzo 2019, per il recupero a fini abitativi, senza opere, del piano secondo sottotetto; 2) S.C.I.A. n. 1830 del 13 settembre 2019, per la manutenzione straordinaria finalizzata al rifacimento di copertura condominiale e alla posa di cappotto isolante; 3) S.C.I.A. n. 2666 del 7 novembre 2019, per opere di restauro e risanamento conservativo con modifica del tetto e formazione di aperture e balconi nuovi.
Con “esposto” diun soggetto controinteressato, acquisito al protocollo comunale n. 118784, del 6 novembre 2020, si segnalava, al Comune di Piacenza, che presso la predetta unità immobiliare erano in corso lavori di ristrutturazione e di rialzamento del tetto “in sospetta violazione della normativa edilizia ed ambientale ”, chiedendo che gli uffici comunali competenti procedessero a verificare la regolarità dell’intervento in corso di esecuzione.
In data 17 dicembre 2020, i tecnici del Servizio Attività Produttive ed Edilizia del Comune di Piacenza effettuavano un sopralluogo, presso l’immobile in questione, rilevando la difformità delle “altezze interne”, riportate nella tavola grafica della S.C.I.A. n. 552 del 6 marzo 2019, rispetto a quelle, dichiarate, nella tavola grafica della S.C.I.A. n. 1830 del 13 settembre 2019; nonché l’innalzamento di 95 cm delle “altezze al colmo”, rispetto a quanto dichiarato nella S.C.I.A. 552 del 6 marzo 2019; nonché l’innalzamento del “fronte dell’edificio”, di circa 1,20 metri, rispetto all’altezza indicata nella S.C.I.A. n. 1830 del 13 settembre 2019.
Di modo ché, con ordinanza n. 99 del 28 gennaio 2021, premessi gli esiti del sopralluogo, e riscontrata la violazione dell’art. 157.11 del Regolamento Edilizio comunale, il Dirigente del “Servizio Attività Produttive e Edilizia del Comune di Piacenza ” ordinava al proprietario-committente Sofia S.r.l., nonché al direttore dei lavori e all’impresa esecutrice Elettroclima S.r.l. “di provvedere alla immediata sospensione dei lavori al piano secondo sottotetto dell’immobile posto a Piacenza, in via (…), identificato al Catasto del Comune di Piacenza al Foglio (…) part. (…) sub. (…) ”.
Avverso detto provvedimento, le società de quibus ricorso per annullamento, introduttivo del giudizio principaleproponevano , chiedendo – altresì – la condanna, al risarcimento dei danni, dell’Amministrazione.
Con primo motivo di ricorsoun , rubricato “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 D.P.R. 380 del 2001 e dell’art. 7 della Legge 241 del 1990 ”, le ricorrenti lamentavano che l’Amministrazione comunale avrebbe adottato l’ordinanza di sospensione dei lavori – solamente – decorso il termine di trenta giorni dal deposito delle S.C.I.A., senza ricorrere agli strumenti dell’autotutela.
Con un secondo ordine di censure , rubricato “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della Legge 241 del 1990 ”, le ricorrenti si dolevano del fatto che il Comune avrebbe emesso il gravato provvedimento di sospensione dei lavori senza farlo precedere dalla necessaria comunicazione di avvio del procedimento, a garanzia della partecipazione e del contraddittorio procedimentale.
Con un terzo motivo di ricorso, rubricato “eccesso di potere per travisamento dei fatti e per contrasto con l’art. 157 del Regolamento Edilizio di Piacenza; per via della conformità di ogni intervento alle autorizzazioni edilizie conseguite ”, le ricorrenti deducevano l’eccesso di potere dell’azione dell’Amministrazione comunale che avrebbe operato un radicale travisamento dei fatti, ritenendo, l’intervento edilizio da loro realizzato, non conforme, ai progetti presentati con le S.C.I.A., e agli strumenti urbanistici.
Tutte le doglianze rese oggetto di rappresentazione sono state dichiarate infondate, per le ragioni che, di seguito, saranno rese oggetto di esposizione.
Sempre con riguardo alla successione dei fatti, giovi considerare come, con successiva ordinanza n. 822 del 30 novembre 2022, premesso che “la situazione di difformità accertata rispetto ai titoli edilizi, consistente nell’innalzamento della copertura deve essere assoggettata ad ordine di ripristino senza ulteriore attesa dello sviluppo del contenzioso amministrativo avviato dalla parte interessata, contenzioso che peraltro attiene ad un provvedimento a carattere temporaneo quale è l’ordine di sospensione lavori ”, il Dirigente del “Servizio Attività Produttive e Edilizia del Comune di Piacenza ” ordinava al proprietario-committente Sofia S.r.l., nonché al direttore dei lavori e alla ditta esecutrice dei lavori Elettroclima S.r.l., la demolizione delle opere eseguite in difformità rispetto ai titoli edilizi, con “ripristino della quota di copertura, di falda, di colmo e di gronda dell’immobile posto a Piacenza in via (…); identificato al Catasto del Comune di Piacenza al Foglio (…) part. (…); mediante abbassamento delle stesse sino a concorrenza rispetto alle quote preesistenti ”.
Di talché con ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 22 febbraio 2023, le ricorrenti hanno impugnato l’ordinanza n. 822 del 30 novembre 2022, con cui il Dirigente del “Servizio Attività Produttive e Edilizia del Comune di Piacenza ” ha ordinato al proprietario-committente Sofia s.r.l., nonché al direttore dei lavori e alla ditta esecutrice dei lavori Elettroclima s.r.l., la “demolizione” delle opere eseguite in difformità ai titoli edilizi; chiedendo, peraltro, la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno da ritardata conclusione del procedimento amministrativo e da illegittima attività amministrativa.
Il ricorso per motivi aggiunti è stato affidato alle seguenti censure.
In primo luogo, si è lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 T.U. Edilizia e dell’art. 19 della Legge 241 del 1990 ”.
In secondo luogo, si è lamentata la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 della Legge 241 del 1990 (compresa la violazione dell’art. 2 bis della Legge 241 del 1990, per responsabilità risarcitoria) e dell’art. 27 T.U. Edilizia ”.
Con il terzo motivo dell’atto per motivi aggiunti, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32 e 34 del T.U. Edilizia ”, le ricorrenti prospettano che, a mente degli artt. 31, 32 e 34 del D.P.R. 380 del 2001, l’ordine di demolizione possa essere disposto solo nei casi di “totale difformità”, di “variazioni essenziali” o di “parziale difformità” dal permesso di costruire. Precisavano, poi, come a mente dell’art. 34, comma 2 del D.P.R. 380 del 2001, la demolizione sarebbe consentita solo ove possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità; e che, quando ciò non sia possibile, è prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria. Le ricorrenti, in definitiva, ambivano a che il Comune consentisse loro la c.d. “fiscalizzazione dell’abuso”.
Con un quarto ordine di censure, sempre a mezzo del ricorso per motivi aggiunti, si lamentava, di poi, la “violazione dell’art. 3 della Legge n. 241 del 1990 per omessa motivazione e/o eccesso di potere per insufficienza della stessa ”.
Con il quinto motivo del ricorso per motivi aggiunti, rubricato “eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di istruttoria e per travisamento dei fatti ”, le ricorrenti lamentavano l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, segnalando come sia (i) l’ordine di sospensione dei lavori, sia (ii) l’ordine di demolizione, si sarebbero fondati, unicamente, sugli esiti del sopralluogo del 17 febbraio 2020.
Con il sesto motivo di ricorso per motivi aggiunti, rubricato “violazione dell’art. 33-bis della Legge n. 108 del 2001 ”, le ricorrenti deducevano la violazione dell’art. 33 bis della Legge 108 del 2021 (rectius dell’art. 33 bis del D.L. n. 77 del 2001, convertito con modificazioni dalla Legge n. 108 del 2021).
Con l’ultimo motivo dell’atto per motivi aggiunti, rubricato, “eccesso di potere per difetto di imparzialità ”, le ricorrenti lamentano il difetto di imparzialità del Comune che, nel corso del procedimento, avrebbe acquisito una perizia tecnica prodotta da un professionista per conto di un controinteressato, senza invece tener conto delle memorie difensive da loro articolate.
Si è costituito in giudizio il Comune di Piacenza, instando per la reiezione del ricorso introduttivo e dell’atto per motivi aggiunti.
Il ricorso introduttivo del giudizio di annullamento (volto ad impugnare l’ordinanza di sospensione) ed il ricorso per motivi aggiunti (volto ad impugnare la successiva ordinanza di demolizione) sono stati reputati infondati, e, quindi, gli stessi sono stati rigettati. L’accertata legittimità degli atti gravati e l’accertata assenza di qualsiasi profilo di responsabilità dell’Amministrazione, per danno da ritardo, hanno consentito – al TAR – di rigettare le richieste di risarcimento dei danni, formulate nel ricorso introduttivo, e nell’atto per motivi aggiunti. Da ultimo, sono apparse sussistenti “giuste ragioni” per disporre la compensazione delle spese di lite.
Partendo dall’analisi delle ragioni a sostegno del rigetto delle doglianze del ricorso introduttivo, si osservi quanto segue.
Quanto al primo motivo, giovi tenere in debita considerazione come la S.C.I.A., come del resto precisato dal comma 6 ter dell’artticolo 19 della Legge 241 del 1990, non risulti avere natura di “provvedimento amministrativo tacito”.
Questo comporta che, come stabilito dal comma 4 del precitato articolo 19 della Legge 241 del 1990, una volta decorsi i termini per l’esercizio dei poteri repressivi e inibitori, in capo all’Amministrazione, residuano poteri analoghi “all’autotutela decisoria”, quanto ai presupposti per l’adozione (cfr. T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 20 maggio 2024 n. 363).
Si tratta, come da tempo chiarito dalla giurisprudenza, di “un potere sui generis, che si differenzia dalla consueta autotutela decisoria, proprio perché non implica un’attività di secondo grado, insistente su un precedente provvedimento amministrativo; si tratta di un potere che non si attua mediante un provvedimento di secondo grado, in senso tecnico, dato che esso non ha per oggetto una precedente manifestazione di volontà dell’Amministrazione, ma incide sugli effetti prodotti, ex lege, dalla presentazione della S.C.I.A.; e, eventualmente, dal trascorrere di un determinato periodo di tempo. Siffatto potrre, con l’autotutela classica, condivide soltanto i presupposti e il procedimento ” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 3896 del 2024).
Solitamente, scaduto il termine per l’esercizio dei poteri inibitori, l’Amministrazione può vietare lo svolgimento dell’attività e ordinare l’eliminazione degli effetti già prodotti solo se ricorrono, in concreto, i presupposti per l’autotutela; e, dunque, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto, nonché sussistendone le ragioni di interesse pubblico (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. VII, 8553 del 2023).
Diverso, tuttavia, è il caso in cui l’Amministrazione accerti la sussistenza di un “intervento edilizio difforme”, rispetto a quanto dichiarato, nella S.C.I.A.; trattandosi di intervento, in quanto difforme dalla segnalazione certificata, abusivo.
In tal caso, effettivamente, l’intervento dell’Amministrazione, volto ad inibire la prosecuzione dei lavori realizzati in difformità con quanto dichiarato, nella segnalazione certificata, non rientra nell’alveo dei poteri inibitori e repressivi da esercitare entro trenta giorni dal deposito della S.C.I.A., né nell’ambito dei poteri inibitori e repressivi da esercitarsi oltre il suddetto termine, ricorrendo, piuttosto, i presupposti dell’esercizio del potere di autotutela.
In tale ipotesi, infatti, viene in rilievo un potere vincolato dell’Amministrazione.
Sicché riscontrata la “non conformità” dell’intervento edilizio con quanto dichiarato in S.C.I.A.; e, quindi, data per assodata la “sussistenza di un abuso edilizio”; la P.A. ha il potere-dovere di imporre la sospensione dei lavori, nonché di ingiungere l’ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate.
Peraltro, si osserva che il potere repressivo degli abusi edilizi è un “potere vincolato”, privo di alcuna discrezionalità, che non necessita di una particolare motivazione, quand’anche sia stato esercitato, dopo lungo tempo, dalla commissione dell’abuso edilizio. Nientemeno, l’abuso edilizio è un illecito permanente, ragion per cui il provvedimento sanzionatorio interviene, sempre, su una situazione antigiuridica attuale.
Quanto al secondo motivo di ricorso, anch’esso reputato infondato, v’è da dire – come anche precisato dal TAR Parma con riguardo al primo motivo – che l’ordine di sospensione/demolizione dei lavori è “atto dovuto”, da parte dell’Amministrazione comunale, emesso nell’esercizio di un potere strettamente vincolato in ragione dell’abusività delle opere realizzate.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, quali l’ordinanza di sospensione dei lavori e l’ordinanza di demolizione, non necessitano di essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, ciò in quanto non è prevista, in capo all’Amministrazione, la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1281), anche alla luce della dequotazione dei vizi formali di cui all’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della Legge 7 agosto 1990 n. 241 (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 7 giugno 2024, n. 5131).
infine, anche il terzo motivo viene reputato infondato 1 , giacché non persuasiva, secondo il TAR, la tesi sostenuta dalle ricorrenti, a mente della quale il sottotetto aveva già la destinazione abitativa assentita senza opere, per effetto della S.C.I.A. n. 552 del 6 marzo 2019.
Per siffatte ragioni, il TAR ha ritenuto che, ragionevolmente, (rectius doverosamente), l’Amministrazione comunale, nell’esercizio di un potere strettamente vincolato, avesse adottato l’ordinanza di sospensione dei lavori, la quale è, pertanto, risultata del tutto legittima.
Proseguendo con l’analisi delle ragioni a sostegno del rigetto delle doglianze del ricorso per motivi aggiunti, si osservi quanto segue.
Il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti è stato reputato infondato, per le medesime ragioni per cui è stato reputato infondato il primo motivo di gravame del ricorso principale.
Il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, anche, è stato reputato infondato; atteso che l’ordinanza di demolizione gravata con l’atto per motivi aggiunti si pone all’esito di un’attività istruttoria, svolta anche nella fase successiva all’ordine di sospensione dei lavori, con cui il Comune ha avuto conferma della abusività delle opere realizzate, non potendo ritenersi violato alcun termine procedimentale.
Giova, in proposito, precisare come, del tutto correttamente, il TAR ha avuto modo di rilevare come: “l’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo può essere disposta in qualsiasi momento sia perché si tratta di una misura ripristinatoria a carattere reale piuttosto che di una vera e propria sanzione, sia perché si tratta comunque di illeciti permanenti” (Cfr., ex multis , T.A.R. Veneto, sez. II, 24 luglio 2017, n. 733).
Come precisato dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, “ la mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata” (Cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017 n. 9).
Ed infatti “non sarebbe in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’Amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica o praeter legem ” (Cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017 n. 9).
Di talché anche laddove dovesse ritenersi l’ordine di demolizione “tardivo”, rispetto al momento di accertamento della sussistenza delle opere abusive, tale tardività non risulterebbe idonea ad inficiarne la legittimità.
Il che è coerente con il consolidato principio generale per cui “in assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio – prescrivendo al suo spirare la perdita della possibilità di azione da parte dell’Amministrazione o la specifica sanzione della decadenza – il termine stesso deve intendersi come meramente sollecitatorio o ordinatorio, con la conseguenza che il suo superamento non determina l’illegittimità dell’atto ma una semplice irregolarità non viziante, poiché non esaurisce il potere dell’Amministrazione di provvedere ” (cfr.,ex multis , Consiglio di Stato, sez. IV, 6 agosto 2024, n. 7004).
Stante quanto sopra premesso, è stata rigettata la richiesta di condanna, dell’Amministrazione, al risarcimento del danno, da ritardata conclusione del procedimento amministrativo, non venendo fatto valere un interesse legittimo pretensivo, quindi non sussistendo alcuna violazione dei termini procedimentali.
Il motivo terzo è stato reputato infondato. Osserva il Collegio che non possa predicarsi, a carico dell’Amministrazione, la sussistenza di alcun onere di verifica, prima dell’emissione dell’ordine di demolizione, in ordine alla sussistenza dei presupposti per la c.d. fiscalizzazione dell’abuso, spettando, piuttosto, al privato, la proposizione di una apposita istanza, rivolta, specificatamente a tal fine, che non risulta essere stata proposta, nel caso di specie. Ed infatti, “il potere di disporre la fiscalizzazione degli abusi, disciplinato dall’art. 34, del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, ha valore eccezionale e derogatorio e deve essere inteso nel senso che non compete all’Amministrazione procedente valutare, prima dell’emissione dell’ordine di demolizione dell’abuso, se la misura possa essere applicata, incombendo, piuttosto, sul privato interessato la dimostrazione, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, della obiettiva impossibilità di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme ” (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 2 maggio 2023, n. 7353).
Il quarto ordine di censure, rubricato“ violazione dell’art. 3 della Legge 7 agosto 1990 n. 241 per omessa motivazione e/o eccesso di potere per insufficienza della stessa”, avente ad oggetto la doglianza del difetto di motivazione, si fondava sull’assunto della mancata indicazione della tipologia di violazione accertata, e della mancata valutazione della conformità rispetto al progetto. Il motivo è stato reputato infondato, atteso che l’ordinanza gravata è apparsa, adeguatamente, motivata, in ragione degli esiti del sopralluogo 2.
Il quinto motivo è stato reputato infondato, attesa l’impossibilità di rinvenire vizi di eccesso di potere, anche a fronte delle risultanze del sopralluogo 3. Il sesto motivo è stato reputato infondato, per le ragioni già analizzate nello scrutinio del terzo motivo del ricorso introduttivo. Da ultimo, nel rigettare il settimo gravame, il TAR ha osservato che il richiamo alla perizia tecnica di parte sarebbe stato un quid pluris rispetto a quanto già ampiamente motivato nella gravata ordinanza di demolizione. D’altra parte, come è noto, nel caso di attività vincolata, laddove sia acclarata la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’esercizio dell’azione amministrativa, “non residua alcuno spazio per il sindacato sull’eccesso di potere, in quanto il sindacato di legittimità del giudice amministrativo verte essenzialmente sulla sussistenza, o meno, dei presupposti di fatto addotti dall’Amministrazione per giustificare l’esercizio del potere ” (cfr. Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, 5 dicembre 2023, n. 202).
1 Trattandosi, complessivamente, di un intervento destinato ad incidere sui locali ad uso “sottotetto”, non poteva che trovare applicazione l’art. 157.11 del Regolamento Edilizio del Comune di Piacenza, secondo cui “negli edifici collocati nel territorio urbanizzato o urbanizzabile, come perimetrati dal PSC, i sottotetti collocati in edifici destinati a residenza per almeno il 25% della superficie utile che risultino iscritti al catasto alla data 31 dicembre 2013, possono essere recuperati a fini abitativi, anche con la creazione di unità immobiliari funzionalmente autonome. Il recupero è consentito purché sia assicurato per ogni singolo vano il rispetto dei seguenti parametri: (...) gli interventi edilizi dovranno avvenire senza alcuna modificazione delle altezze di colmo e di gronda nonché delle linee di pendenza delle falde (...)”.
Quanto alla contestazione delle modalità di misurazione adottate dai tecnici del Comune di Piacenza, circa gli avvenuti rialzi della struttura, osserva il Collegio come “il riferimento contenuto nell’ordinanza di sospensione dei lavori alla posizione del vecchio cornicione, e come la censurata individuazione dei punti da cui partire per la misurazione delle altezze interne, siano invero inconferenti, dal momento che l’ordinanza di che trattasi rinvia espressamente al sopralluogo del 17 dicembre 2020, le cui risultanze sono efficacemente compendiate, anche quanto alle misurazioni, nella relazione di sopralluogo datata 19 gennaio 2021”. Sono, infine, irrilevanti le ulteriori doglianze formulate dalle ricorrenti (relative alla non corrispondenza al vero dell’affermazione secondo cui l’elaborato grafico dei prospetti presente nella S.C.I.A. n. 1830 del 2019 riporterebbe in maniera non fedele lo stato di fatto dell’immobile e dell’asserito collegamento tra i locali dell’ispezione e altro vano preesistente, per il quale non era previsto alcun intervento edilizio di recupero, ma nel quale erano in corso lavori di rifacimento della copertura), “dal momento che, anche ove in tesi fondate, non sarebbero idonee ad inficiare quanto complessivamente rilevato in sede di sopralluogo, ovvero la realizzazione di opere in difformità rispetto a quanto dichiarato nelle segnalazioni certificate di inizio di attività e, pertanto, abusive.”
2 Con la precisazione che 1) si accertava che è stato effettuato un rialzo della copertura leggibile visivamente dal riferimento al cornicione esistente della parte di edificio, di colore grigio, fronteggiante l’incrocio tra via (omissis) e via (omissis); 2) la copertura è stata innalzata di 1,20 mt. rispetto alle fronti dell’edificio e di 0,95 mt. rispetto alle quote interne del sottotetto con riferimento alle quote riportate nello stato di progetto di cui alla a S.C.I.A. 552/2019/G535 del 06/03/2019”. Precisa, poi, il provvedimento impugnato che “gli elementi istruttori acquisiti impongono l’emissione di ordine di demolizione a prescindere dalla definizione del ricorso pendente, essendosi consolidata l’analisi effettuata dal Comune relativamente all’innalzamento difforme della copertura rispetto ai titoli edilizi, realizzato ai sensi dell’art. 14 della L.R. n. 23/2004 mediante intervento di ristrutturazione edilizia ampliativa”. In definitiva, l’ordinanza impugnata risulterebbe, adeguatamente, motivare, la non conformità delle opere realizzate (per come accertate ad esito del sopralluogo del 17 dicembre 2020), rispetto a quanto dichiarato nelle segnalazioni certificate e, ragionevolmente, circostanziare la sussistenza di un abuso edilizio. Non coglie nel segno la censura con cui le ricorrenti lamentano che il Comune avrebbe dovuto indicare, nella gravata ordinanza, l’idoneità o meno della demolizione ad arrecare pregiudizio alla parte dell’immobile conforme al progetto, perché, come precisato, “non spetta all’Amministrazione, bensì al destinatario dell’ordine di demolizione, che invochi l’applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva, dimostrare il pregiudizio sulla struttura e sulla fruibilità arrecato alla parte non abusiva dell’immobile dalla demolizione della parte abusiva e che tale pregiudizio sia evitabile esclusivamente con la fiscalizzazione dell’abuso, sì che la valutazione della sussistenza delle condizioni per la c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio non costituisce condizione di legittimità dell’ordinanza di demolizione” (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. III, n. 1216 del 2023).
3 Non persuade la tesi sostenuta dalle ricorrenti, secondo cui l’Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto dei volumi dal pavimento e dall’impianto di riscaldamento a lavori ultimati e delle tolleranze di legge, dal momento che, da un lato, a mente dell’art. 157.11 del Regolamento Edilizio comunale, non è ammissibile alcuna modificazione delle altezze di colmo e di gronda nonché delle linee di pendenza delle falde, e che, dall’altro lato, come si è detto, non è stata fornita prova della circostanza che i suindicati dati annullerebbero l’accertato innalzamento di locali e fabbricato.
