Consiglio di Stato sez. V - 13:09:2024, n. 7574

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Sentenza

Commento dell'Avv. Elena Berto


La presente vicenda trae origine da un’ipotesi di responsabilità “da comportamento scorretto della P.A.”, attuatosi durante la fase della stipula del contratto, quindi, ex post, l’aggiudicazione della procedura ad evidenza pubblica.

Come anche si vedrà nell’arco della presente trattazione, consolidato risulta essere, anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, il principio in forza del quale: il danno derivante dall’illecito rifiuto dell’amministrazione pubblica di addivenire alla stipula, dopo l’aggiudicazione, non deve essere parametrato “all’utilità perduta”, bensì “all’interesse negativo” a non essere coinvolti in “operazioni rivelatesi inutili”, in quanto il carattere ingiustificato del ripensamento, come anche l’eccessiva attesa nella stipula definitiva, integrano una violazione del principio dell’ alterum non laedere, sotto forma della lesione della libertà negoziale (Cfr Cassazione civile sez. III, 12/04/2024, n.9960).

La legittimità del provvedimento di annullamento della gara, peraltro, non esclude che il complessivo comportamento dell’ente possa essere censurabile, poiché ritenuto idoneo a procurare un danno ingiusto alla ricorrente per responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 cc, ormai ritenuto, pacificamente, applicabile, anche alla P.A.

Con siffatta tipologia di responsabilità, si altera la naturale allocazione dei rischi economici sostenuti per partecipare alla gara: l’insorgenza della responsabilità precontrattuale determina il trasferimento dei costi da un soggetto ad un altro, cui è imputabile la scorrettezza. Perché si abbia il trasferimento del rischio, nientemeno, bisogna che vi sia, da un lato, un comportamento scorretto e, dall’altro lato, un affidamento incolpevole: detti elementi costituiscono i presupposti che garantiscono un idoneo punto di equilibrio tra la libertà contrattuale della stazione appaltante e l’esercizio delle prerogative pubblicistiche di quest’ultima e il limite della correttezza e della buona fede.

I requisiti de quibus, invero, sono stati rinvenuti anche nella giurisprudenza amministrativa.

Perché sussista una tale responsabilità precontrattuale (Cfr T.A.R. Roma, Lazio, sez. I, 04.03.2024, n.4250), occorre però, da un lato, che (i) il comportamento tenuto dalla P.A. risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede; e, dall’altro lato, che (ii) lo stesso comportamento abbia ingenerato “un danno”, del quale, appunto, viene chiesto il ristoro (la cui delimitazione del quantum, invero, riguarda il solo interesse negativo, vale a dire le spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto e le perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali, mentre non è risarcibile il mancato utile relativo alla specifica gara).

Veniamo, a questo punto della dissertazione, alla trattazione della vicenda processuale che viene in rilievo.

La società ricorrente interponeva appello nei confronti della sentenza del TAR Puglia, sez. II, n. 969 del 2021, che dichiarava inammissibile il suo ricorso, finalizzato all’accertamento, incidentale, dell’illegittimità del Decreto 2 marzo 2018, con cui il Provveditore alle Opere Pubbliche di Bari, disponeva la revoca e decadenza dell’aggiudicazione dell’appalto.

L’accertamento incidentale di illegittimità sopra evocato era finalizato all’ottenimento della condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, (i) a titolo di responsabilità provvedimentale, ovvero (ii) di responsabilità precontrattuale, ovvero (iii) finalizzato al riconoscimento dell’indennizzo ex art. 21 quinquies della Legge 241 del 1990.

Prima che venisse incardinato il giudizio, la società appellante aveva partecipato alla procedura di gara indetta dal Ministero, risultandone aggiudicataria, giusta comunicazione, datata l’11 aprile 2008.

Nei successivi otto anni, il Ministero, benché sollecitato con lettere, diffide, nonché incontri formali, non è mai addivenuto alla stipula del contratto.

Solamente in data 8 febbraio 2016, e poi in data 11 marzo 2016, il Ministero chiedeva, alla deducente, di rendersi disponibile all’esecuzione dei lavori oggetto della gara, nonché di fornire le dichiarazioni relative ai requisiti, di carattere generale e speciale, ai fini della stipulazione del contratto.

Sicché la società trasmetteva la documentazione richiesta, unitamente ad un contratto di avvalimento, stipulato con un consorzio stabile, per sopperire alla mancanza del requisito di qualificazione SOA cat. OG11, class. IV, nel frattempo, sopraggiunta.

Il Ministero, di tutta risposta, con nota del 2 marzo 2018, disponeva la revoca e decadenza dell’aggiudicazione, in ragione dell’impossibilità di procedere alla stipulazione del contratto, per la decretata e riscontrata perdita della classifica SOA.

Conseguentemente, con il ricorso in primo grado, si chiedeva il risarcimento dei danni, conseguenti all’illegittimo provvedimento di revoca, dovuto al comportamento colposo dell’amministrazione; evidenziando come, l’amministrazione avesse lasciato trascorrere bene otto anni, prima addivenire alla sottoscrizione, nel 2016, del contratto; atteso che l’aggiudicazione risaliva al 2008.

Si deduceva, altresì, l’illogicità della pretesa in ordine al fatto che un operatore economico conservi la categoria SOA,sine die ; peraltro, illegittimo sarebbe stato, anche, precludere, alla società aggiudicataria, di sopperire a tale mancanza sopraggiunta, mediante l’avvalimento (tanto più considerando che la perdita della classe SOA è conseguenza proprio della mancata esecuzione dei lavori oggetto di controversia).

La sentenza appellata ha dichiarato il ricorso inammissibile, alla luce del fatto che il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione, risalente al 2 marzo 2018, non è stato – tempestivamente – impugnato, avendo la ricorrente “introdotto mera azione risarcitoria, con ricorso notificato in data 6 luglio 2018, la quale è da ritenersi inammissibile, in quanto l’impugnazione tempestiva del provvedimento avrebbe potuto consentire la tutela ordinaria nella forma specifica dell’annullamento ”.

Con il ricorso in appello si è dedotta, di poi, l’erroneità della sentenza impugnata, ponendo in evidenza i differenti piani sui quali si colloca l’illegittimità provvedimentale, rispetto al comportamento scorretto dell’amministrazione, nella fase di “formazione del contratto”. Situazione, questa, prodromica, al riconoscimento della responsabilità precontrattuale.

In tale prospettiva, l’appellante ha evidenziato che: la conclusione del procedimento, teso alla stipula del contratto, è avvenuta a distanza di bene otto anni, dall’adozione dell’aggiudicazione; non verrebbe, dunque, in rilievo, l’illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato, bensì il comportamento serbato dall’amministrazione in questi otto anni che ha ritardato la stipula del contratto. Sicché la società riproponeva i motivi del ricorso di primo grado, assorbiti e non esaminati, dalla sentenza appellata.

Si è costituito, in resistenza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti controdeducendo (anche nel senso di ipotizzare una speculare responsabilità precontrattuale della società appellante, che non avrebbe comunicato il conferimento di ramo di azienda e, soprattutto, la perdita della SOA), al fine di nchiedere la reiezione del ricorso in appello.

L’appello è stato accolto; e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado è stato reputato fondato, nei sensi di cui in motivazione (meglio – infra – dettagliata), con condanna, del Ministero, al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale. Quanto all’ipotizzata responsabilità precontrattuale della società appellante, non avendo il Ministero tradotto, tale doglianza, in una domanda riconvenzionale, articolata mediante ricorso incidentale, bensì tramite mera allegazione difensiva, la stessa è stata rigettata.

L’assunto dell’appellante, svolto con il primo motivo di gravame, è stato reputato, concettualmente, fondato, non apparendo condivisibile, nella sua assolutezza, la statuizione (di primo grado) di inammissibilità, basata sul convincimento che la parte ricorrente sia incorsa in decadenza per omessa impugnazione dell’atto dedotto come lesivo (id est, la revoca dell’aggiudicazione in data 2 marzo 2018).

Tale tesi può essere professata con riguardo alla responsabilità civile da provvedimento amministrativo, a norma dell’art. 30, comma 3 cpa, ma non anche con riguardo alla responsabilità precontrattuale, che, secondo il paradigma generale di cui all’art. 1337 cc, impone alle parti di comportarsi, nella fase che precede la stipulazione del contratto, secondo buona fede in senso oggettivo.

La giurisprudenza ha posto in evidenza che nei rapporti di diritto amministrativo è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo in relazione a comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica suindicati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi (Cfr Cons. Stato, A.P., 29 novembre 2021, n. 21).

Il principio di buona fede e di tutela dell’affidamento (da ultimo, recepito nell’art. 5 del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, di cui al D.Lgs. n. 36 del 2023), già secondo l’elaborazione compiuta da Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5, comporta che, nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione è tenuta a rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile, che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può fare nascere una responsabilità da comportamento scorretto, incidente sul diritto soggettivo di autodeterminarsi, liberamente, nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze derivanti dall’altrui scorrettezza.

La sentenza dell’Adunanza plenaria ha, altresì, chiarito che la responsabilità precontrattuale richiede non solo la buona fede soggettiva del privato, ma anche gli ulteriori seguenti presupposti :a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (e cioè le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia il nesso eziologico tra il danno e il comportamento scorretto che si imputa all’amministrazione.

Emerge, dunque, da tale inquadramento generale che la responsabilità precontrattuale deriva dal comportamento scorretto della P.A. (Cfr Cons. Stato, V, 10 agosto 2018, n. 4912), e non già dall’illegittimità provvedimentale.

La statuizione di inammissibilità appare, dunque, non condivisibile con riguardo alla responsabilità precontrattuale, che prescinde dall’illegittimità provvedimentale e, dunque, dall’esigenza stessa di impugnare il provvedimento (nel caso di specie, di revoca dell’aggiudicazione), nei termini perentori di legge.

Appare fondato, secondo il Collegio, il primo motivo riproposto, finalizzato a dimostrare la colpa dell’amministrazione, mediante l’evidenziazione del fatto che la richiesta di stipula del contratto è intervenuta otto anni dopo l’aggiudicazione, risalente all’11 aprile 2008, e dopo circa cinque anni dalla conclusione dei lavori prodromici (terminati il 18 agosto 2011), oggetto di separato e diverso appalto.

L’inerzia della stazione appaltante, d’altro canto, non può ritenersi priva di rilevanza causale neppure nella perdita del possesso dei requisiti speciali da parte dell’appellante, atteso che il decremento della classifica SOA (dalla IV, richiesta dal bando, alla III bis, ed infine alla II), a fare tempo dal 2014, dipende o comunque è in correlazione anche proprio con la mancata esecuzione dei lavori aggiudicati (apportante arricchimento curriculare).

Ne discende, per le stesse ragioni, la fondatezza anche del secondo motivo riproposto con cui si lamenta l’illegittimità del diniego (in data 8 agosto 2016) sull’istanza di qualificarsi mediante avvalimento, presupposto della revoca/decadenza dell’aggiudicazione. È pur vero che vige il principio di continuità del possesso dei requisiti, generali e speciali (Cfr Cons. Stato, Ad. Plen., 20 luglio 2015, n.8), ma tale regola non può essere interpretata in modo irragionevole e solamente formalistico; come è stato rilevato in giurisprudenza ad altri fini, “sarebbe irragionevole pretendere (non già il possesso del requisiti, ma) la continuità del possesso per un periodo indefinito, durante il quale non c'è alcuna competizione, alcuna attività valutativa dell'amministrazione e, per giunta, alcun impegno vincolante nei confronti dell'amministrazione ” (Cfr Cons Stato, III, 6 marzo, 2017, n. 1050).

È fondato anche il quarto motivo, con il quale viene stigmatizzato il differimento della stipulazione del contratto, posto che alla data del 18 agosto 2011, non sussistevano ragioni ostative alla stipula del contratto, e, a quell’epoca, l’appellante era in possesso della SOA cat. OG11, classifica IV.

Con il quinto mezzo viene, poi, dedotta l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di revoca del 2 marzo 2018, in quanto carente di un’adeguata motivazione comparativa, tra le ragioni di interesse pubblico e la tutela dell’affidamento ingenerato nell’operatore economico. Il motivo, per come formulato in termini di domanda annullatoria, è stato reputato irricevibile, essendo stato impugnato con ricorso notificato in data 6 luglio 2018, e, dunque, oltre il termine decadenziale previsto dalla normativa processuale.

Quanto alla disamina della pretesa risarcitoria per equivalente, è stata, anzitutto, respinta la domanda formulata in funzione della illegittimità provvedimentale in ragione della sua tardiva proposizione, in coerenza con un indirizzo consolidatosi a partire da Cfr Cons. Stato, Ad. Plen. 23 marzo 2011, n.3, alla cui stregua la mancata proposizione dell’azione di annullamento non incidrebbe sull’ammissibilità dell’actio damni, ma sulla sua fondatezza, nella considerazione che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce dato valutabile, in considerazione del canone della buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza.

Fondata è stata reputata, invece, nei limiti di seguito esposti, la domanda di risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale, che prescinde dalla legittimità o meno del provvedimento (secondo una giurisprudenza consolidatasi principalmente proprio in materia di revoca dell’aggiudicazione (Cfr Cons. Stato, V, n. 6633 del 2018), in quanto è responsabilità da comportamento e non già da provvedimento (Cfr Cons. Stato, V, b. 4912 del 2018; n. 790 del 2014).

Sono stati ritenuti sussistenti, invero, i presupposti della responsabilità precontrattuale del Ministero, per violazione dei doveri di correttezza e buona fede e di un legittimo e ragionevole affidamento in capo alla società appellante, non inficiato da elementi di colpa.

Non v’è chi non veda come “chi entra in una trattativa precontrattuale (specie se condotta nelle forme del procedimento di evidenza pubblica, soggetto anche ai poteri di autotutela pubblicistici preordinati alla cura dell’interesse pubblico), si assume un ineliminabile margine di rischio, in ordine alla conclusione del contratto”. Infatti “ciascuna parte che intraprende una trattativa (o partecipa ad un procedimento di gara) sa che è esposta ad un margine di rischio, che, in linea di principio, deriva dall’esercizio della libertà contrattuale di entrambe le parti, e quindi anche dal legittimo esercizio alla libertà contrattuale dell’Amministrazione ” (Cfr Cons. Stato., A.P., 4 maggio 2018, n.5).

Il riconoscimento della responsabilità precontrattuale, effettivamente, modifica la naturale allocazione dei rischi economici sostenuti per partecipare alla trattativa (o alla gara).

Sicché l’insorgenza della responsabilità precontrattuale determina il trasferimento dei costi da un soggetto ad un altro, cui è imputabile la scorrettezza.

Perché si abbia il trasferimento del rischio bisogna che vi sia, da un lato, (i) un comportamento scorretto e, dall’altro lato, (ii) un affidamento incolpevole: detti elementi costituiscono i presupposti che garantiscono un idoneo punto di equilibrio tra la libertà contrattuale della stazione appaltante e l’esercizio delle prerogative pubblicistiche di quest’ultima e il limite della correttezza e della buona fede.

Urge il parallelismo con il diritto civile.

In ambito civilistico, tradizionalmente, la responsabilità precontrattuale postula che l’affidamento abbia ad oggetto lo svolgimento di trattative che non siano inutili. Tipicamente, le trattative sono inutili laddove una delle controparti le intraprende senza avere intenzione di stipulare il contratto, o sapendo, o dovendo sapere, di stipulare un contratto invalido, così violando il dovere di buona fede.

Anche in ambito pubblicistico, l’art. 1, comma 2 bis della Legge 241 del 1990, dispone che i “rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”, positivizzando una regola generale delle relazioni giuridiche intersoggettive, che, in ambito pubblicistico, oltre a connotarsi per specifiche declinazioni, trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (ex art. 97 Cost.).
A fronte del dovere di buona fede si pone l’affidamento sulla correttezza dell’operato di controparte e, nella specie, dell’Amministrazione (Cfr Cons. Stato, A.P. n. 21 del 2021; Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2018, n. 5; e Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6).

Nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti al pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’Amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità “non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica ora richiamati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi” (Cfr Cons. Stato, A.P., 29 novembre 2021, n. 21).

Nel settore delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione postula che l’Amministrazione abbia violato il dovere di buona fede e che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento e che questo affidamento non sia a propria volta inficiato da colpa.

L’affidamento si dipana in modo diverso a seconda del tipo di procedimento di evidenza pubblica che viene in rilievo (anche tenendo conto dei diversi margini di discrezionalità di cui la stazione appaltante dispone: così Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2018, n. 5).

Nei rapporti di diritto civile, affinché un affidamento sia legittimo occorre, tuttavia, che esso sia fondato su un livello di definizione delle trattative tale per cui la conclusione del contratto, di cui sono già stati fissati gli elementi essenziali, può essere considerato come uno “sbocco prevedibile”, e rispetto al quale il recesso dalle trattative, in linea di principio libero, risulti invece ingiustificato sul piano oggettivo e integrante una condotta contraria al dovere di buona fede, giusta art. 1337 cc (Cfr Cass. Civ. n. 7545 del 2016).

Analogamente, in ambito pubblicistico, l’affidamento è sicuramente legittimo quando sia stata pronunciata l’aggiudicazione definitiva, cui non abbia poi fatto seguito la stipula del contratto, ed ancorché ciò sia avvenuto nel legittimo esercizio dei poteri della stazione appaltante (Cfr Cons. Stato, Sez. II, 20 novembre 2020, n. 7237).

L’aggiudicazione è, dunque, considerata il punto di emersione dell’affidamento ragionevole, tutelabile pertanto con il rimedio della responsabilità precontrattuale.

Nondimeno – pur non essendo questo il caso di specie – la giurisprudenza ha negato rilievo ostativo al riconoscimento della responsabilità precontrattuale nei casi nei quali non è intervenuta l'aggiudicazione definitiva.

In questo medesimo senso, rispetto agli elementi costitutivi della responsabilità precontrattuale, si è espresso Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2018, n. 5, secondo cui la responsabilità precontrattuale può insorgere “anche prima dell’aggiudicazione e possa derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai più volte richiamati doveri di correttezza e buona fede ”.

Il danno risarcibile in caso di responsabilità precontrattuale è limitato al c.d. interesse contrattuale negativo, che copre sia il danno emergente (spese documentate per la partecipazione alla gara) che il lucro cessante (Cfr Cons. Stato, V, 12 luglio 2021, n. 5274), essendo in particolare astrattamente ammesso anche il ristoro della perdita di chance per le sole occasioni di guadagno alternative cui l’operatore economico avrebbe potuto attingere in assenza del contegno colposo dell’amministrazione (Cfr Cons. Stato, VII, 10 maggio 2022, n. 3661).

Si applicano, come noto, al giudizio amministrativo in materia di responsabilità precontrattuale, i principi sull’onere della prova di cui all’art. 2697 cc, incombendo, dunque, in capo al ricorrente, la prova del danno conseguenza (che si concretizza, come già detto, nelle perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate).


A questo riguardo, è stato – prontamente – osservato che la ricorrente, con la perizia tecnica depositata in primo grado, ha indicato il mancato utile (che non costituisce parametro della responsabilità precontrattuale).

Con riguardo alle spese ed ai costi inutilmente sopportati per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura di gara, sono stati riconosciuti, alla stregua della perizia predetta, seguendo il processo deduttivo del ‘più probabile che non’, ed in assenza di contestazioni ex adverso, le spese concernenti la polizza provvisoria e la polizza definitiva, i ‘costi specifici di gara’, nonché gli ‘oneri tecnici relativi alla redazione del progetto esecutivo cantierabile modificato sulla base dello stato dei luoghi’.

Non è stato reputato documentato il danno da perdita di chance, intesa come perdita di ulteriori occasioni di stipula di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi.

Neppure si è ritenuto potersi riconoscere il danno curriculare, derivante, cioè, dalla mancata stipulazione ed esecuzione del contratto, che preclude di fare valere, da parte della società appellante, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito (Cfr Cons. Stato, IV, 7 febbraio 2012, n. 662).

Ed invero, il danno curriculare non è risarcibile nell’ambito della responsabilità precontrattuale, in quanto ontologicamente non diverso dal danno legato al mancato perseguimento dell’interesse positivo, o, per meglio dire, derivando dalla mancata esecuzione dell’appalto, e non già dall’inutilità della trattativa (Cfr Cons. Stato, V, 29 dicembre 2014, n. 6406).

In particolare, il danno curriculare (ovvero il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non potere indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto) risulta incompatibile con la responsabilità precontrattuale, in quanto danno-evento conseguente alla mancata stipulazione del contratto.

Non è stato reputato spettante, infine, l’indennizzo ex art. 21 quinquies della Legge 241 del 1990, in conseguenza della revoca, atteso che lo stesso, parametrato al solo danno emergente, si pone in alternativa alla responsabilità precontrattuale, spettando allorché l’esercizio del potere di autotutela, oltre ad essere legittimo, si accompagni ad un complessivo comportamento, improntato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede (Cfr Cons. Stato, IV, 7 febbraio 2012, n. 662).


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