Cassazione civile sez. un. - 27:08:2024, n. 23155

Commento dell'Avv. Elena Berto
Con sentenza n. 2133 del 2019, il Tribunale di Bologna declinava la propria giurisdizione, in favore del giudice amministrativo, in ordine alla controversia instaurata dalle società Cooperativa italiana di ristorazione Cirfood e Bioristoro Italia, in proprio e in qualità (rispettivamente) di mandataria e di mandante del R.T.I., tra esse costituito, nei confronti del Comune, avente a oggetto la disapplicazione o l’annullamento della determina con la quale l’ente aveva deliberato la risoluzione per inadempimento del contratto relativo alla concessione del servizio di refezione scolastica e supporto al servizio ausiliario dei nidi d’infanzia comunali.
La sentenza, impugnata dalle società è stata confermata dalla Corte d’Appello di Bologna; quanto alla natura trilaterale del rapporto inter partes che aveva visto come beneficiari gli utenti; stante la permanenza del rischio economico in capo all’operatore erogante (sussistente, in re ips a, perché la tipologia di servizio aveva previsto la necessaria compartecipazione ai costi da parte di un numero variabile e imprevedibile di utenti).
Sicché il rapporto avrebbe dovuto essere qualificato come “concessione di servizi”, a ciò non ostando la circostanza che l’ente, sin dalla fase di evidenza pubblica, avesse utilizzato una terminologia orientata a qualificarlo, invece, come “appalto”, non essendo il giudice, nell’interpretazione della volontà delle parti, vincolato dal nomen iuris usato dai contraenti.
In guisa della distinzione tra le due figure giuridiche – la concessione di servizi e l’appalto – la Corte d’Appello ha rilevato come l’insieme delle previsioni contrattuali avesse, in effetti, comportato il trasferimento del rischio operativo, in capo al concessionario, rischio da intendere riferito alle fluttuazioni di mercato derivanti dalle mutazioni sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, ossia da fattori imprevedibili, fuori del controllo delle parti. Quindi, ha ritenuto corretta la conclusione del primo giudice, secondo la quale il Comune aveva inteso “esternalizzare” un servizio pubblico locale a domanda individuale attraverso l’individuazione (mediante gara) di un operatore economico specializzato. Ferma la differenza corrente tra il rapporto di “concessione di un servizio pubblico” e il rapporto di “appalto di servizio”, incentrata sull’assunzione da parte del concessionario del rischio di gestione (Cass. Sez. U. n. 9139 del 2015, Cass. Sez. U. n. 8692 del 2022), quindi, secondo la Corte d’Appello di Bologna la controversia in esame attiene a un rapporto del primo tipo, tale da evocare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, primo comma, lett. c), c.p.a.
In definitiva, i Giudici di secondo grado confermavano l’appartenenza della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, primo comma, lett. c), c.p.a., essendosi trattato di controversia ‘in materia di pubblici servizi relativi a concessioni di pubblici servizi ’.
Contro tale statuizione, la società Cirfood, in proprio e quale capogruppo del R.T.I., con la Bioristoro, proponeva ricorso per cassazione dolendosi dell’affermata appartenenza della controversia alla giurisdizione amministrativa; censurando la sentenza per difetto di giurisdizione, essendo la controversia de qua relativa a un contratto di appalto di servizi, e non a una concessione di servizio pubblico.
Secondo la ricorrente1, in tema di affidamento di servizi da parte della p.a., a imprese private, devesi identificare la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi, nel senso di seguito disposto: i primi, a differenza delle seconde, riguardando, di regola, servizi resi alla pubblica amministrazione, e non al pubblico degli utenti, non comportano il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione, e non determinano, in ragione delle modalità di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario.
Il comune ha replicato con controricorso.
La ricorrente ha depositato una memoria.
La questione prospettata nel ricorso (in ordine al discrimen qualificatorio tra negozi di appalto e di concessioni), diversamente da quanto opinato dal giudice d’appello, non è stata reputata rilevante – dai giudici di legittimità – per la soluzione del profilo di giurisdizione; circostanza, questa, puntualmente sottolineata anche nella requisitoria del Procuratore Generale.
Ad essersi reputato dirimente, piuttosto, è stato il fatto che la controversia in esame si riferisse alla fase “esecutiva del rapporto” e, non, di contro, la circostanza della qualificazione negoziale della fattispecie de qua alla stregua di una concessione del servizio.
Con la conseguenza che allorché si discorra della semplice fase esecutiva di un rapporto – finanche qualificabile come concessorio – si è fuori dalla giurisdizione esclusiva.
La fase esecutiva del rapporto, in termini di giurisdizione, fuoriesce dalla sua “fonte concessoria”, perché non ne condivide la natura, venendo a costituire, invece, un nesso di posizione paritaria tra le parti; che, come tale, radica la giurisdizione del G.O.
Per tale essenziale ragione l’impugnata sentenza è stata cassata.
Sicché la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha accolto il ricorso; e, per l’effetto, dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario; cassando l’impugnata sentenza, nonché rinviando, alla Corte d’Appello di Bologna, anche per la determinazione delle spese del giudizio di cassazione.
Tuttavia, nonostante la dichiarata irrilevanza della qualificazione negoziale del contratto (appalto VS concessione), per esigenze “nomofilattiche”, la Corte di Cassazione Civile ha reputato di doverla esaminare egualmente, vista la mancanza di specifici precedenti in tema e tenuto conto dell’importanza della questione ermeneutica.
I Supremi Giudici richiamano la giurisprudenza euro-unitaria, ove si è chiarito che un appalto pubblico di servizi comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall’amministrazione al prestatore di servizi (Cfr C. giust. 13-10- 2010, causa C - 458/03, Parking Brixen, C. giust. 18- 7-2007, causa C - 382/05, Commissione c. Repubblica italiana, C. giust. 7 - 12 - 2000, causaC - 324/98, Telaustria); a fronte, invece, della concessione di servizi, che, diversamente, presuppone che l’amministrazione concedente abbia trasferito “integralmente o in misura significativa” all’operatore privato il “rischio di gestione economica” connesso all’esecuzione del servizio (Cfr C. giust. 21-5-2015, causa C - 269/14).
Il panorama della giurisprudenza unionale induce, in tal modo, a superare l’obiezione che sortisce dalla sentenza della Corte bolognese, a proposito della avvenuta indicazione dell’onere assunto dal comune come solo parziale e correlato a un’indicazione presuntiva del corrispettivo del servizio.
La concessione di servizi è ravvisabile – a fronte dell’appalto – quando le modalità di remunerazione pattuite consistano nel diritto del concessionario di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio traendo la propria remunerazione dai proventi ricavati dagli utenti, di modo che sul concessionario finisca col gravare di per sé il rischio legato alla gestione.
È vero che la fissazione di un prezzo da parte dell’amministrazione concedente può non modificare la natura del rapporto, ma alla condizione che non determini la traslazione sul soggetto pubblico della maggior parte o, a fortiori, dell’intero rischio della gestione.
Sicché, e a puro scopo di chiarificazione sul versante qualificatorio, è stato fissato il principio di diritto, in ossequio al quale: “ nell’appalto pubblico di servizi, il corrispettivo è pagato direttamente dall’amministrazione al prestatore di servizi; a fronte, invece, della concessione di servizi, che, diversamente, presuppone che l’amministrazione concedente abbia trasferito integralmente o in misura significativa all’operatore privato il rischio di gestione economica connesso all’esecuzione del servizio”.
Fermo ciò, deve essere, tuttavia, anche ribadito che la soluzione della questione di giurisdizione non era (e non è) condizionata, nella specie, dal profilo qualificatorio, diversamente da quanto opinato dal giudice d’appello.
Come esattamente rilevato dal Procuratore Generale è risolutivo il fatto che la controversia in esame attiene alla fase esecutiva del rapporto, non a quella che ha determinato la concessione del servizio.
E non v’è chi non veda come sussista la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle controversie che attengono alla fase esecutiva del contratto, pur se qualificato come di concessione di servizi; ivi comprese – chiarisce la Corte di Cassazione a S.U. – “quelle in ordine alla intimata risoluzione per inadempimento del concessionario, ovvero alle conseguenze risarcitorie. Codeste difatti costituiscono manifestazione di un rapporto obbligatorio oramai divenuto, dopo la stipulazione, di carattere paritario. Un tale rapporto non è sussumibile – in esito alle note decisioni della Corte costituzionale sulla portata dell’art. 103 cost. ai fini dell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva (v. in particolare C. cost. n. 204 - 04) – nelle attività alle quali allude l’art. 133, primo comma, lett. c), cod. proc. amm. (per varie applicazioni, Cass. Sez. U. n. 18374-23, Cass. Sez. U. n. 30267-23; e v. pure Cass. Sez. U. n. 7735-23, Cass. Sez. U. n. 3534423). Ai fini della giurisdizione esclusiva è necessario che la materia attribuita sia “particolare”, e, quindi, concretizzi – essa – l’agire della p.a., come autorità, onde possa infine correlarsi l’afferente tutela del cittadino davanti al giudice amministrativo, senza che sia sufficiente a radicare la giurisdizione amministrativa il mero fatto dell’essere la p.a. parte del giudizio o il generico coinvolgimento di un interesse pubblico nella controversia. Ne segue che allorché si discorra della semplice fase esecutiva di un rapporto – finanche qualificabile come concessorio – si è fuori dalla giurisdizione esclusiva. La fase esecutiva del rapporto, in termini di giurisdizione, fuoriesce dalla sua fonte concessoria perché non ne condivide la natura, venendo a costituire invece un nesso di posizione paritaria tra le parti”.
1 Il ricorrente ricorda che tale principio è stato ribadito, invero, con peculiare riferimento alla specifica ipotesi in cui l’amministrazione debba versare un canone al gestore dei servizi e questi non percepisca alcun provento dal pubblico indifferenziato degli utenti: ipotesi in cui, giustappunto, il rapporto va qualificato in termini di appalto di servizi (ex aliis, Cass. Sez. Un. n. 10080 del 2020). Diversamente, nel caso in esame, il contratto stipulato con il Comune avrebbe avuto ad oggetto il servizio di refezione scolastica, nonché il supporto al servizio ausiliario dei nidi d’infanzia comunali, con previsione dell’erogazione diretta del servizio agli utenti, da parte del concessionario, e con riscossione, da parte di questo, di una parte minoritaria del corrispettivo, legata al costo del pasto degli utenti. Invero, la quota tariffaria a carico del comune è stata fissata in misura tale da coprire più della metà del costo del servizio. E non v’è chi non veda come l’impugnata sentenza abbia svalutato tale circostanza, giacché il corrispettivo del servizio e la quota a carico dell’ente sarebbero stati indicati in via meramente presuntiva, in quanto dipendenti da elementi variabili, non essendo prevedibile in anticipo il numero totale degli utenti e il relativo rischio di inadempimento e non essendo certa la copertura integrale delle spese di gestione mediante le entrate.
