Cassazione penale 34542 del 2024

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Sentenza

Commento dell'Avv. Elena Berto


La fattispecie concreta inveratasi nel caso in esame attiene alle condotte dell’imputato ed il suo complice, i quali si recavano presso i ristoranti dei cittadini stranieri di nazionalità cinese, per quivi qualificarsi quali Carabinieri appartenenti al “Comando N.A.S.”; al fine di sfruttare un’influenza legittimante la richiesta, rivolta alle persone offese, del pagamento di alcune somme di denaro, in cambio della non applicazione di sanzioni amministrative; che avrebbero dovuto, altrimenti, infliggere, in ragione della presunta ed asserita cattiva conservazione del cibo.

A fronte di ciò, effettivamente, le vittime pagavano le somme di denaro estorte con minaccia, in tal guisa che veniva loro consegnato un “verbale di accertamento negativo”, su un documento intestato: “Guardia Nazionale Ambientale ONLUS”.

La vicenda fattuale de qua muove, quindi, dalla condanna – per il reato di estorsione aggravata – del Tribunale di Roma del 28.09.2021, di poi, confermata, in secondo grado, dalla Corte di Appello, con sentenza del 04.07.2022.

Con ricorso per cassazione, invero, si deduce: (i) la violazione di legge, nonché (ii) il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione agli artt. 629 e 640 c.p.

Il primo motivo di ricorso, nientemeno, si rivolge alla qualificazione giuridica dei fatti e, a tale proposito, si sostiene che essi si collocano nel paradigma della “truffa vessatoria”; e non in quello “dell’estorsione”, per come ritenuto dai giudici di merito, atteso che l’ingiusto profitto veniva perseguito attraverso artifici o raggiri.

A sostegno dell’assunto de quo, si illustrano le differenze strutturali tra i due reati, riportandosi anche gli orientamenti giurisprudenziali sviluppatisi in punto di distinzione tra truffa vessatoria ed estorsione.

Con secondo motivo di ricorso per cassazione, (ii) si deduce la violazione di legge, in relazione all’art. 99, comma 2, n. 2 c.p. A tale proposito, il ricorrente sostiene che la Corte di appello “pur essendo stata investita della questione con l’atto di gravame, ha confermato l’aumento di pena per la recidiva infra-quinquennale contestata, senza verificare se la ricaduta nel reato fosse effettivamente sintomatica di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità”.

Il ricorso è stato reputato inammissibile.

Il primo motivo di ricorso, relativo alla qualificazione giuridica del fatto, è stato reputato manifestamente infondato.

Alla luce della puntuale ricostruzione della vicenda, i giudici di legittimità compiono un’attività ermeneutica di sussunzione della fattispecie concreta nell’alveo di una diversa fattispecie di reato astratta, rispetto a quella prospettata dagli imputati nel ricorso; alla luce del corretto criterio di distinzione – delineato in giurisprudenza –tra i delitti di truffa ed estorsione.

Testualmente, si legge in sentenza: “il criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa ed. vessatoria consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, comma 2, n.2 c.p., quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall’agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all’azione od omissione versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l’esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, all’agente ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dall’agente o di incorrere nel danno minacciato”, (Sez. 2 - , Sentenza n. 24624 del 17/07/2020).

Nel caso in esame, il danno viene prospettato quale conseguenza delle condotte degli stessi agenti, i quali hanno minacciato di elevare la sanzione amministrativa in caso di mancato pagamento della somma richiesta.

Da ciò discende la correttezza della qualificazione giuridica operata dai giudici della “doppia sentenza conforme”, e la manifesta infondatezza del contrario assunto difensivo, in palese contrasto rispetto a un orientamento assolutamente consolidato della Corte di Cassazione.

Ad eguale conclusione, di manifesta infondatezza, si perviene anche con riguardo alla – eminentemente generica – denuncia di omessa risposta alla deduzione difensiva, sviluppata con l’atto di appello, in ordine alla riconoscibilità della recidiva.

L’assunto difensivo è, palesemente, smentito dalla lettura della sentenza impugnata, là dove i giudici danno puntuale risposta al motivo di appello e lo rigettano osservando che la datazione dei precedenti penali non risultava dirimente, in quanto la commissione dei reati oggetto dell’odierno giudizio non era particolarmente distante rispetto a quei precedenti e in quanto essi presentano modalità attuative di estrema insidiosità oltre a essere caratterizzati da una spiccata intensità del dolo.

Sicché si afferma che: “in tal senso depone non solo la reiterazione delle condotte estorsive in un breve arco temporale ed in danno di diversi soggetti, ma anche la contestazione della continuazione in ordine al reato sub a). Trattasi di profili che, univocamente, depongono nel senso di una personalità pericolosa ed ulteriormente espressiva di un progressivo ed ininterrotto percorso delinquenziale in atto”.

Una constatazione siffatta, oltre a dimostrare la manifesta infondatezza della denuncia di omessa motivazione, risulta essere, altresì, allineata al principio di diritto a mente del quale “ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale sintomo di un’accentuata pericolosità sociale dell’imputato e non come mera descrizione dell’esistenza a suo carico di precedenti penali per delitto, la valutazione del giudice non può fondarsi, esclusivamente, sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale della loro realizzazione, ma deve esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in qual misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato ‘sub iudice’”, (Sez. 2 - , Sentenza n. 10988 del 07/12/2022).

A ciò si è aggiunto che le argomentazioni della difesa risultavano, sostanzialmente, volte a una lettura delle emergenze processuali, antagonista a quella operata dai giudici di merito, il cui esame è risultato precluso al giudice della legittimità.

Quanto esposto ha comportato la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della sanzione pecuniaria, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Dichiarato inammissibile il ricorso, quindi, si è proceduto con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma in favore della Cassa delle ammende.


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