Commento Cassazione Penale 32376 del 2024.

Commento dell'Avv. Elena Berto
La presente vicenda giudiziaria riguarda, invero, la condanna (confermata sia in primo grado sia innanzi alla Corte di Appello di Catania), ai sensi dell’art. 612 bis cod.pen.; delitto, questo, commesso, dall’imputato, in danno e pregiudizio della di lui ex convivente.
Veniva proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di diritto.
Con il primo motivo, il ricorrente denunciava l’erronea interpretazione della legge penale, da parte dei giudici di merito, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo, previsto dall’art. 612-bis cod. pen., lamentando che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto integrato il dolo; assumendo, erroneamente, che non sarebbe stato, a tal fine, indispensabile, che il soggetto agente volesse cagionare turbamento nella persona che ha subito la sua condotta, né che le minacce non avessero avuto seguito.
E, a quest’ultimo riguardo, il ricorrente ha sottolineato che avrebbe dovuto essere considerato come egli – pur abitando a soli 500 metri di distanza, dal domicilio dell’ex convivente – non avrebbe mai posto in essere condotte violente in danno della stessa.
Mediante il secondo motivo, l’imputato deduceva l’illogicità della motivazione sulla mancata sussistenza di elementi utili per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ex art. 62-bis cod. pen.; evidenziando che la Corte territoriale avrebbe omesso, a tal fine, di considerare elementi positivi favorevoli; quali, segnatamente, la condotta processuale consistente “nell’ammissione” dell’invio dei messaggi alla persona offesa e nel rispetto delle prescrizioni impostegli.
Il primo motivo è stato considerato manifestamente infondato.
Ben si saprà, anzitutto, con riferimento all’analisi strutturale della fattispecie di reato in questione come il delitto di atti persecutori costituisca un “reato abituale di evento”, nonché di “danno”, per la cui configurazione si richiede, oltre alla condotta minacciosa o molesta del soggetto agente, altresì, un’alterazione della sfera psichica del soggetto passivo. Gli eventi tipici sono, quindi, alternativamente, (i) il perdurante grave stato d’ansia o di paura, (ii) il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o per quella di persona affettivamente legata alla vittima e (iii) l’alterazione delle abitudini di vita.
La decisione impugnata, nel ritenere prive di rilievo le circostanze che (i) il ricorrente non si sarebbe reso conto del tenore gravemente minaccioso dei propri messaggi (asserzione che, peraltro, correttamente la pronuncia ha sottolineato essere rimasta indimostrata), e che (ii) non avrebbe, poi, dato corso alle stesse, ponendo in essere atti di violenza, nei confronti dell’ex convivente, ha fatto corretta applicazione del principio, più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, in virtù del quale: “nel delitto di atti persecutori l’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte, elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione” (Cfr ex ceteris, Sez. 1, n. 28682 del 25/09/2020; Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015).
Come ben si saprà, la fattispecie di reato de quo è risultata essere, sovente, attenzionata dalla giurisprudenza – anche di merito – attesa la sua ricorrenza nell’ambito delle vicende sociali e relazionali.
Molteplici, effettivamente, risultano essere le “sfaccettature”, messe in evidenza dalla casistica giurisprudenziale, da un lato, (i) della “condotta materiale” del reato, e, dall’altro lato, (ii) “dell’elemento psicologico”.
Sicché è interessante ripercorrere i precedenti in termini.
Segnatamente, è stato precisato che: “la circostanza che la condotta persecutoria si sia protratta solo per due mesi non incide sul pro filo della sussistenza del delitto in questione, posto che gli innumerevoli messaggi scritti, reiterati e pervicaci, sono senz’altro idonei a turbare la sfera psichica della persona offesa, per l’intrusione nella sua sfera privata, cagionandole un effettivo grave stato di ansia, oltre che a mutare le sue abitudini di vita, avendola costretta a recarsi presso alcuni amici, per sfuggire alle condotte in questione, nonché a cambiare numero di telefono, e a frequentare un Centro Antiviolenza.”(Cfr Tribunale Vicenza, 17/06/2024, n.459).
Di poi, è stato chiarito come: “ai fini della integrazione del reato di atti persecutori non si richiede l’accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità ed equilibrio psicologico della vittima. La prova del turbamento psicologico causato nella vittima deve essere ancorata non soltanto alle dichiarazioni rese dalla stessa ma anche alla obiettiva natura delle condotte molestatrici.” (Cfr Tribunale Udine, 11/06/2024, n.676).
Altresì, si è evidenziato come: “integra il reato di stalking la condotta continuativa posta in essere dall’imputato che non abbia contenuto di innocue manifestazioni di corteggiamento, rendendo palese come queste costringessero invece la persona offesa ad un tenore di vita perennemente condizionato da una invadente presenza con intuitiva e credibile compromissione della serenità di attendere agli impegni personali di studio e di relazione sociali.” (Cfr Tribunale Palermo sez. III, 07/06/2024, n.1430).
Ancora, non si è potuto fare a meno di constatare che: “è integrato il reato di stalking, dal soggetto che si presenta a casa della vittima, in più occasioni ravvicinate, manifestando il proprio amore ‘folle’, sollecitato da un incomprensibile ‘potere superiore’, senza invito, anzi contro la sua volontà; dal soggetto segue e tenta di avere contatti non graditi con la vittima, usando vari metodi; determinando nella p.o. uno stato di prostrazione e preoccupazione evidenti, costringendola a cambiare percorso casa-lavoro, per evitare incontri sgraditi; nonché quando si provoca una significativa ansia, soprattutto notturna, tale da spingerla a rivolgersi ad una psicologa.” (Cfr Tribunale Frosinone, 03/05/2024, n.450).
Più di preciso, è stato statuito che: “la funzione della richiamata norma sia quella di sanzionare condotte che, se non adeguatamente messe a freno, possono anche evolvere in condotte più gravi e dannose, come ad esempio quelle di violenza sessuale, lesioni personali, o persino omicidio. Le minacce e molestie devono imprescindibilmente possedere l’ulteriore requisito della reiterazione, dovendo compendiarsi, quindi, in comportamenti persecutori minacciosi o molesti ripetuti nel tempo.” (Cfr Corte appello Roma sez. I, 26/04/2024, n.4422).
Certo è che – anche al fine di evitare di dilatare, eccessivamente, il cono d’ombra operativo del reato in questione – devesi tenere in debita considerazione come: “ai fini della configurazione del reato di stalking di cui all’art. 612-bis c.p., è necessario che il comportamento persecutorio dell’agente determini un concreto mutamento delle abitudini di vita della vittima o un fondato timore per la propria incolumità” (Cfr Corte appello Ancona, 12/04/2024, n.615).
E, nientemeno, giovi sottolineare come: “in tema di stalking, trattasi, di un delitto di danno e di evento che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idoneo ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è neppure essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità. Quanto alla prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, essa deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. Il tipico andamento di crescente ossessività e di inarrestabile escalation violenta ed intrusiva, all’interno del normale andamento della vita altrui, con effetti di grave danno all’equilibrio psichico ed alle normali abitudini di vita della vittima, peculiare della dinamica mentale patologica e persecutoria denominata stalking, sanzionata dall’art. 612 bis c.p., reato abituale, per la cui configurazione è necessario che l’agente ponga in essere una serie di condotte a danno della vittima, senza che la perpetrazione di un singolo episodio possa bastare a varcare la soglia della rilevanza penale richiesta.” (Cfr Tribunale Nocera Inferiore, 12/04/2024, n.819).
Di interessante rilievo, sempre a fini descrittivi, è l’indagine del rapporto tra il reato di atti persecutori e quello di molestie.
La Corte di Cassazione penale, in tal senso, ha chiarito l’impossibilità di ravvisare alcuna derubricazione, del delitto di stalking, nella contravvenzione di molestie, se la vittima entra in uno stato di perdurante ansia, modificando le proprie abitudini di vita a fronte delle condotte reiterate dell’imputato. Le molestie, effettivamente, sono ravvisabili solo quando il risultato nella psiche della persona offesa è quello di essere infastidita. Dunque, la linea di demarcazione tra i due reati è rappresentata dalle conseguenze psicologiche che la condotta ingenera nella persona presa di mira; con comportamenti che vanno dall’insulto agli imbrattamenti o impedimenti a utilizzare cose di cui si ha la disponibilità. Le minacce o le molestie ripetute vanno punite come atti persecutori quando creano uno stato di ansia che pervade la vita della persona posta nel mirino del molestatore finanche arrivando al punto di modificarne le abitudini normali. Ad esempio, non possono essere svalutate le precise prove, raccolte in una vicenda tipica di “persecuzioni in ambito condominiale”, in alcuni casi anche aggravata dall’odio razziale, nei confronti di alcuni condomini extracomunitari, ripetutamente, appellati come “incivili” dall’imputato (Cfr Cassazione penale sez. V, 04/04/2024, n.21006).
Interessante è anche il discrimen, individuato sempre in giurisprudenza, tra la configurazione del reato di atti persecutori e la consumazione del reato di maltrattamenti in famiglia.
In termini, testualmente, si legge che: “configurano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte violente nei confronti del coniuge che, verificatesi in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge non perde la qualifica soggettiva di ‘persona della famiglia’, fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, anche in assenza dalla convivenza.” (Cfr Cassazione penale sez. VI, 15/02/2024, n.10636). Peraltro, “in ordine al reato di stalking, le condotte vessatorie poste in essere ai danni del coniuge non più convivente, a seguito di separazione legale o di fatto, integrano il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di atti persecutori, in quanto i vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione permangono integri anche dopo la fine della convivenza, venendo meno solo in caso di divorzio, con il definitivo dissolvimento della comunità familiare.” (Cfr Tribunale Cassino, 05/09/2023, n.1552).
Il secondo motivo è stato reputato inammissibile.
Non v’è chi non veda, certamente, come la possibilità di concedere le circostanze attenuanti generiche costituisca una modalità, per il giudice, di rendere la pena, effettivamente, proporzionata, giusta artt. 3 e 27 della Costituzione.
Nondimeno, il giudice – quando nega la concessione delle circostanze attenuanti generiche – non deve, necessariamente, prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti, ovvero rilevabili dagli atti, ma può limitarsi a fare riferimento a quelli ritenuti decisivi, o, comunque, rilevanti (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
Orbene, nel senso di seguito disposto, ha deciso la Corte di Cassazione penale adita che: “non è manifestamente illogica la motivazione della decisione impugnata, laddove ha ritenuto di non valorizzare l’ammissione dell’imputato circa l’avvenuto invio dei messaggi, a fronte di un vaglio di peculiare gravità delle condotte poste in essere dallo stesso, in quanto gravi e reiterate per svariati mesi e nonostante fosse già stata formulata richiesta di rinvio a giudizio nei suoi confronti in un altro procedimento per condotte di maltrattamenti in famiglia verso l’ex compagna ed i figli prima della cessazione della convivenza e sebbene il giudice civile avesse adottato un provvedimenti di protezione dei minori, con allontanamento dalla casa familiare e divieto di frequentare i luoghi abitualmente frequentati dalle persone offese”.
Alla dichiarazione di inammissibilità de qua, è seguita la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cpp, al pagamento delle spese del procedimento nonché della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende; atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non ha consentito di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa, nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (Cfr Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). Il ricorrente è stato, inoltre, condannato, al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa, sostenute nel giudizio di legittimità, dalle parti civili.
