Cassazione civile sez. II - 11_09_2024, n. 24396

Commento dell'Avv. Elena Berto
La vicenda fattuale muove dalla “mancata segnalazione”, da parte della Banca, di talune operazioni finanziarie, “reputate sospette”, per un importo complessivo di euro 413.500,00.
Tali operazioni sospette sono consistite in versamenti di danaro contante, effettuati dai soci (persone fisiche) di una società immobiliare, a titolo infruttifero, sul conto corrente dell’ente, giustificati dalla necessità di finanziare un’operazione di leasing immobiliare.
Effettuati i versamenti, le somme erano state trasferite, con bonifici bancari, dalla società immobiliare, al promittente venditore di un immobile, a titolo di anticipo sul prezzo di acquisto.
Le somme di denaro, infine, sono state restituite ai soci della società immobiliare, a seguito dell’erogazione del prezzo totale di vendita (pari ad euro 2.500.000,00), da parte della società di Intesa Leasing S.p.A., che ha acquistato l’immobile al fine di concederlo, nuovamente, in locazione finanziaria, alla società immobiliare che aveva esperito gli originari versamenti bancari.
La Banca Intesa Sanpaolo S.p.A. – “responsabile di filiale del gruppo”, nel periodo in cui le “violazioni contestate” si erano verificate – dopo essere stata sanzionata, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di euro 41.350,00, proponeva opposizione, giusta art. 22 Legge n. 689 del 1981, innanzi al Tribunale di Roma, nei confronti dell’ordinanza-ingiunzione n. 400497, emessa il 22.09.2016.
Con sentenza n. 1697/2018, il Tribunale di Roma accoglieva l’opposizione, ritenendo giustificata e lecita l’operazione economica.
Il M.E.F. impugnava la pronuncia suddetta innanzi alla Corte d’Appello di Roma.
I giudici di seconde cure, con sentenza n. 3408/2021, rigettavano, integralmente, il gravame.
In primo luogo, veniva dichiarata (i) l’inammissibilità dell’appello, giusta art. 342 c.p.c., poiché non in grado di censurare, adeguatamente, la decisiva ratio decidendi contenuta nella pronuncia impugnata; la quale, di contro, ben avrebbe argomentato la natura, del tutto lecita, delle operazioni.
In secondo luogo, (ii) la Corte territoriale condivideva e faceva propria, nel merito, la motivazione della sentenza impugnata.
La pronuncia della Corte d’Appello veniva, di poi, ricorsa per cassazione, dal M.E.F.
Con il primo motivo di ricorso, si adduceva il fatto che l’appello non mirasse a contestare la liceità dell’operazione “a valle”; bensì la totale omissione, “a monte”, dell’accertamento della provenienza dei fondi, utilizzati dal cliente; i quali, proprio perché non tracciati, avrebbero potuto rivestire natura illecita, connotando di illiceità anche i successivi passaggi del denaro.
Con il secondo motivo, si deduceva la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 della Legge n. 197 del 1991 e dell’art.41 del D.Lgs. 231 del 2007, e delle “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio” (c.d. Decalogo della Banca d’Italia).
Innanzitutto, non sarebbero state adeguatamente valutate le diverse criticità, legate alla dubbia provenienza del denaro contante, utilizzato per le operazioni descritte (anche se lecite), in difformità alla finalità, non afflittiva, ma cautelare, e general-preventiva, degli obblighi di antiriciclaggio, prescritti nella normativa menzionata. Del resto – precisava il M.E.F. nel ricorso – “la segnalazione non è di per sé finalizzata a denunciare i fatti illeciti, ma è concepita come comunicazione utile ad innescare eventuali ed ulteriori indagini, in un’ottica di gestione del rischio” .
Inoltre – proseguiva il ricorrente – “deve essere confutato quanto sostenuto dalla Corte d’Appello secondo cui la presunzione di irregolarità dell’operatività derivante dalla presenza degli indici di anomalia dettati dal decalogo della Banca d’Italia sarebbe superabile con l’accertamento della legittimità e congruità delle operazioni poste a valle”.
In altri termini, per superare la valenza presuntiva di irregolarità degli indici citati, la convenuta avrebbe dovuto “verificare la compatibilità e giustificabilità dell’origine dei fondi utilizzati per compiere le movimentazioni in discussione, piuttosto che la liceità dell’operazione finale”.
La Corte di Cassazione accoglie i motivi di ricorso, per le ragioni di seguito esposte.
A detta dei giudici di legittimità, il M.E.F. aveva impugnato la pronuncia di prime cure, lamentando, in modo più che specifico, la mancata acquisizione di informazioni sull’origine dei fondi utilizzati nell’ambito dell’operazione complessiva, cui le singole movimentazioni, in denaro contante, erano finalizzate: condotta, questa, ritenuta contrastante con quanto richiesto dalla finalità preventiva della normativa antiriciclaggio.
Da un punto di vista processuale, il gravame viene reputato “specifico”, nonché in linea con quanto chiarito dalle Sezioni Unite, secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c. vanno interpretati nel senso che “l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando, alla parte volitiva, una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, escludendosi che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado” (Cfr Cass. Sez. Un. 27199 del 2017; e n. 40560 del 2021). Nel caso di specie, dal raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di appello, puntualmente riportata nel ricorso per cassazione, emergerebbe che il ricorrente avrebbe contrastato, argomentandole, le ragioni addotte dal giudice di prime cure, offrendo alla Corte territoriale un “percorso logico alternativo”, rispetto a quello seguito dal giudice di prime cure (Cfr Cass. n. 18134 del 2020), ossia la necessità di un ulteriore approfondimento al fine di acquisire informazioni utili sull’origine della disponibilità del denaro poi versato in contanti.
Quanto al secondo motivo (di merito), reputato anch’esso fondato, v’è da dire che lo scopo cui tende la normativa in esame è quello di contrastare i fenomeni criminali, limitando l’uso del denaro contante (e dei titoli al portatore), nelle transazioni; così prevenendo “l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio”.
A tal fine, il legislatore intende reprimere alcune condotte di pericolo, fra le quali quelle operazioni che, per le loro caratteristiche, inducano a ritenere plausibile la provenienza di denaro, beni, o utilità, oggetto di dette operazioni, da taluno dei reati contemplati dagli artt. 648 bis e ter c.p.
È opportuno, altresì, sottolineare che tenuto a segnalare simili operazioni risulta essere “il responsabile della dipendenza” , il quale ne riferisce al “titolare dell’attività” ; quest’ultimo “esamina le segnalazioni pervenutegli e qualora le ritenga fondate tenendo conto dell’insieme degli elementi a sua disposizione, le trasmette senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l’operazione, anche in via informatica e telematica, all’Ufficio Italiano dei Cambi senza alcuna indicazione dei nominativi dei segnalanti”.
È del tutto evidente, quindi, che il ‘potere di valutare le segnalazioni’, nonché, di ‘trasmetterle’, solo se ritenute fondate, in base all’insieme degli elementi a disposizione, spetta, esclusivamente, al titolare dell’attività.
Di contro, il responsabile della dipendenza ha un margine di discrezionalità più ridotto, dovendo segnalare, al suo superiore, “ogni” operazione che lo “induca a ritenere” che l’oggetto di essa “possa provenire” da reati attinenti al riciclaggio.
Il motivo di gravame è reputato, altresì, fondato, nella parte in cui segnala un’inversione logica, operata dalla Corte d’Appello, laddove essa deduce, ex post, dalla liceità della complessiva operazione di leasing immobiliare , la liceità, altresì, delle singole operazioni che, ex ante, avevano contribuito alla predisposizione unitaria dell’operazione.
Tale ordine logico di considerazioni è reputato fallace dalla Corte di Cassazione.
Ciò è vero e non altrimenti confutabile atteso che il responsabile della dipendenza deve, sì, controllare che sussistano elementi tali da far ritenere sospetta l’operazione “intesa nella sua globalità”, ma a partire dalle operazioni prodromiche singolarmente costituite.
Di talché, nel caso che ci occupa, la liceità della complessiva operazione si sarebbe dovuta apprezzare a partire dalla valutazione dagli originari singoli versamenti in danaro contante.
Altresì, affinché una pluralità di operazioni debba essere segnalata, è necessario che le medesime non siano ‘giustificate’ dall’attività svolta da parte della stessa persona, che, nel caso di specie, sono i soci finanziatori, non già la società immobiliare.
Inoltre, per l’esonero dalla segnalazione, non può essere ritenuta sufficiente la mera ‘conoscenza’ dei soggetti coinvolti, occorrendo, invece, riscontrare – oltre all’effettiva cognizione della capacità economica del soggetto coinvolto – anche e, soprattutto, la provenienza del denaro utilizzato.
In sintesi, il responsabile della dipendenza bancaria è tenuto a compiere un’ampia ed approfondita valutazione; che gli impone, in presenza di elementi che denotano l’anomalia dell’operazione, un approfondimento la cui omissione non può essere giustificata dal richiamo alla conoscenza personale del soggetto che l’ha posta in essere, ma deve estendersi alla provenienza del danaro, oltre che all’effettiva qualità e capacità economica dell’autore della/delle operazioni.
V’è da dire, ancora, che, al fine di ridurre i margini di incertezza in ordine alle funzioni di vigilanza, la Banca d’Italia ha emanato le “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio” (c.d. “Decalogo”, del 12.01.2001). Con tali Istruzioni, l’Istituto di vigilanza ha introdotto, tra l’altro, una “casistica esemplificativa delle anomalie delle operazioni bancarie”, in esse ricomprendendo, peraltro, “l’insieme di movimentazioni tra loro funzionalmente ed economicamente collegate”, in presenza delle quali si impone all’intermediario l’effettuazione di “specifiche indagini”, per valutare, in base alle altre notizie di cui si dispone in virtù delle propria attività, la loro effettiva natura sostanziale.
Siffatta modalità di vigilanza muove dall’assunto che “operazioni” di movimentazione economica di denaro, pur di per sé, “neutre”, potendo dissimulare una attività complessiva di riciclaggio, devono essere indagate, anche singolarmente, a prescindere dal “collegamento funzionale” che le unisce.
Si parte dal postulato che la segnalazione bancaria abbia una funzione di mero filtro, attraverso il quale l’Ufficio Italiano dei Cambi esercita, sul fatto, un’ulteriore attività di approfondimento, che può concludersi anche con un’archiviazione in via amministrativa.
Pertanto, poiché il potere di valutare le segnalazioni e, se le ritenga fondate, di trasmetterle, spetta solo al “titolare dell’attività” (ossia all’organo direttivo della banca), il “responsabile della dipendenza” deve segnalare, al suo superiore, ogni operazione che lo induca a ritenere che l’oggetto di essa possa provenire da reati attinenti al riciclaggio, sulla base di elementi oggettivi riferibili all’operazione stessa o alla capacità economica e all’attività del cliente. La segnalazione delle operazioni non è, quindi, subordinata (i) alla evidenziazione dalle indagini preliminari di riciclaggio, e neppure (ii) al personale convincimento della estraneità delle operazioni ad una attività delittuosa; ma si fonda su di un giudizio obiettivo: sulla idoneità delle operazioni ad essere strumento di elusione delle disposizioni dirette a prevenire, prima che a punire, l’attività di riciclaggio.
Secondo la Corte di Cassazione, il giudice territoriale è, erroneamente, pervenuto alla propria determinazione, in base ad una valutazione di liceità dell’intera e complessiva operazione, condotta, solamente, ex post. In altri termini, l’operazione sarebbe stata presa in considerazione solo a valle e nel suo complesso. Così facendo, è stata omessa l’indagine, ex ante, sulla liceità delle singole operazioni, vale a dire sui singoli versamenti in contante speriti “ab origine”. Non avrebbe rilievo alcuno, di poi, valorizzare la “natura funzionale” di tali movimenti bancari, consistente nell’anticipazione dell’acconto, in attesa del finanziamento, da parte di Banca Intesa. Peraltro, il giudice territoriale si sarebbe limitato a constatare il “breve arco temporale” con cui si sono svolte le operazioni; senza, invece, approfondire, tutte le condizioni soggettive ed oggettive che possano spiegare la disponibilità del danaro contante versato.
La sentenza, pertanto, è stata reputata meritevole di essere cassata.
Spetterà al giudice del rinvio effettuare, compiutamente, tali indagini oggettive, sulle operazioni sospette, nei termini sopra indicati.
