Cassazione civile sez. trib. - 03:09:2024, n. 23570_ commento

Commento dell'Avv. Elena Berto
Il Tribunale di Pisa, con sentenza n.1360/2022, pronunciava lo scioglimento di un’unione civile, costituita da una coppia same-sex formata da due donne, ponendo a carico di una delle due ex partner l’obbligo di corrispondere un contributo mensile al mantenimento dell’altra.
La Corte di appello di Firenze, adita in sede di gravame, respingeva l’appello principale, con il quale la partner beneficiaria dell’assegno aveva chiesto l’incremento del mantenimento; e, viceversa, accoglieva l’appello incidentale con cui l’altra partner aveva chiesto la revoca dell’obbligo posto a suo carico.
Veniva presentato, di poi, ricorso per cassazione.
Cin il primo motivo, si denunciava la nullità della sentenza, per violazione degli artt. 115 c.p.c. e dell’art. 132 n. 4) c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 5) c.p.c.; in particolare, per avere la Corte d’Appello omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ossia la mancata valutazione dei fatti e circostanze intercorsi ed avvenuti prima dell’unione civile, tra i quali, come di seguito – meglio infra – si vedrà, la convivenza.
Il motivo è stato reputato inammissibile.
Nel giudizio in Corte di Cassazione, avente natura di giudizio di legittimità, come noto, non può disquisirsi in ordine ad una erronea valutazione del “materiale istruttorio”, compiuta dal giudice di merito. Ciò in quanto non ci si può dolere, in cassazione, di una violazione o falsa applicazione, degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; a meno che non si contesti che “il giudice di merito abbia posto, a base della decisione, prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio, al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato, come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cfr Cass. n. 27000 del 27/12/2016; Cass. n. 1229 del 17/01/2019).
Con il secondo motivo si denunciava, di poi, la nullità della sentenza gravata, per violazione dell’art. 156 co. 2 c.c., dell’art. 132 n. 4) in relazione all’art. 360 n. 3 e 4); nella parte in cui, in essa, si è sostenuto che non vi fosse “alcuna prova” per ritenere che la convenuta fosse il “soggetto più forte economicamente”.
Per avvalorare le proprie ragioni, la ricorrente rimarcava che l’assegno di mantenimento trova il proprio fondamento nel “dovere di assistenza”, gravante sul coniuge, il quale, a prescindere dal sesso, risulti essere economicamente “più forte, stabile ed equipaggiato”. Altresì, si deduceva che si sarebbe dovuta valutare non solo la durata dell’unione civile, ma anche la convivenza che era preceduta.
Il motivo è stato reputato inammissibile.
Nel caso di specie, ha trovato applicazione, opportunamente, l’art. 5, comma 6, della legge n.898/1970, richiamato dall’articolo 1, comma 25 della Legge n.76/2016.
Più nel dettaglio, in caso di unioni civili formate da coppie same-sex, come noto, giusta rinvio normativo – operato dall’art.1, comma 25 della Legge n.76/2016 – alla disciplina dell’assegno divorzile (previsto per i coniugi eterosessuali sposati), si applicano, in quanto compatibili: gli articoli 5, primo, quinto, sesto, settimo, ottavo, decimo e undicesimo comma, 9 secondo comma, 9-bis, 10 secondo comma, 12-bis, 12-ter, 12-quater e 12-quinquies della Legge n. 898 1970; nonché le disposizioni di cui al Titolo IV-bis del libro secondo del codice di procedura civile; nonché gli artt. 6 e 12 del D.L. n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 162 del 2014.
Nientemeno, per giurisprudenza consolidata (Cfr Cass. Sez. U. n. 35969/2023), il riconoscimento dell’assegno di mantenimento, in favore dell’ex partner, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex partner istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi, per decidere, sia sulla attribuzione (“an”) sia sulla quantificazione (“quantum”) dell’assegno, come chiarito da Cass. Sez. U. n. 18287 del 11/07/2018.
Peraltro, il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ,ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
È interessante precisare come la Corte di Cassazione, con la pronuncia de qua, non abbia accolto le doglianze della ricorrente, con le quali ella lamentava che non si fosse tenuto – debitamente – conto, durante l’istruttoria del giudizio di merito, della convivenza intercorsa prima della regolamentazione (per tramite, giustappunto, dell’unione civile) dei diritti e doveri della coppia same-sex.
Come anticipato, la ragione soggiacente a siffatto rigetto è di carattere squisitamente processuale; atteso che il giudizio di legittimità, in cassazione, non ammette una rivalutazione dei fatti ovvero del materiale istruttorio e probatorio, già oggetto di vaglio da parte del giudice di merito, non potendo essere oggetto di contestazione gli artt. 115 e 116 c.p.c.
Evidentemente, la questione processuale, in siffatta vicenda, assume un “ruolo cruciale”, ai fini della statuizione definitiva; atteso che la circostanza della “convivenza”, avvenuta precedentemente l’unione civile, negli ultimi anni, ha assunto un eminente rilievo ai fini della determinazione dell’assegno assistenziale.
Ben si saprà, invero, come – recentemente – la Corte di Cassazione abbia chiarito che “in caso di scioglimento dell’unione civile, ai fini del calcolo dell’assegno spettante alla parte che non dispone di mezzi adeguati e non è in grado di procurarseli, occorre tenere in considerazione anche il periodo di convivenza di fatto antecedente alla costituzione dell’unione, ancorché lo stesso si sia svolta in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 76 del 2016, pena la violazione dell’art. 3 Cost” (Cfr Cassazione civile sez. un., 27/12/2023, n.35969).
Sicché la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, poc’anzi evocata, in continuità con quanto di recente – ulteriormente – stabilito con Cfr Cass. Sez. Un. n. 35385 del 2023 (secondo cui: “in tema di divorzio, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno previsto dall’art. 5, comma 6 della Legge n. 898 del 1970, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase di “fatto” di quella medesima unione e la fase “giuridica” del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all'interno del matrimonio e a cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa o professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato successivamente al divorzio”), ha statuito nel senso che ai fini del calcolo del quantum dovuto al c.d. “unito economicamente più debole”, a titolo di assegno “divorzile”, occorre tenere in considerazione anche il periodo della convivenza more uxorio, antecedente alla formazione dell’Unione stessa.
