Cassazione civile sez. I - 23/09/2024, n. 25376

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Sentenza

Commento dell'Avv. Elena Berto


La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza (Cfr Cass., Civ., Sez. I, del 23/09/2024, n. 25376), nel richiamare il principio di diritto cristallizzatosi nella giurisprudenza di legittimità, a Sezioni Unite, (Cfr Cass. S.U. n. 15130 del 2024), afferma – nuovamente – che, in tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento ‘alla francese’, di tipo standardizzato tradizionale, la mancata indicazione delle modalità di ammortamento, nonché del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori, non è causa di “nullità parziale” del contratto, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti.

Ai fini della miglior comprensione della questione de qua, nientemeno, gioverà ripercorrere la vicenda processuale.

La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., tramite la propria mandataria M.P.S., Gestione Crediti Banca S.p.A., chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Brindisi, il decreto ingiuntivo n. 146/2013, in danno del fideiussore di Nova Domus S.r.l., per il pagamento di 4 rate rimaste insolute, contratte giusta stipula del mutuo, in data 01.09.1987 (nonché, scadute, nell’arco temporale di riferimento dall’01.01.1996 al 01.07.1997).

Il fideiussore proponeva opposizione, avverso tale provvedimento, deducendo: a) il proprio difetto di legittimazione passiva, atteso che il contratto di fideiussione non si estendeva anche al credito controverso, riveniente dal contratto di mutuo; b) la prescrizione del credito, perché azionato oltre il termine di dieci anni dalla sua esigibilità, connessa alla decadenza dal “beneficio del termine”, giusta art. 10 delle condizioni generali; c) l’indeterminatezza delle somme oggetto di ingiunzione (con particolare riferimento al “saggio di interesse di mora”, di cui non sarebbe stato indicato il “tasso applicato”, ed alla legittimità del piano di ammortamento, perché “alla francese”); d) la violazione del “divieto di anatocismo”, in quanto gli interessi di mora erano stati applicati sull’intera rata scaduta, sicché erano stati conteggiati anche sulla quota-parte degli interessi di ammortamento del mutuo, di cui ogni rata era comprensiva.

Costituitasi la banca opposta, essa procedeva alla contestazione, integrale, delle avverse pretese.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 335 del 2017, rigettava la sopra rappresentata opposizione.

Analogo esito negativo ebbe pure il gravame promosso avverso tale ultima decisione, respinto dall’adita Corte di appello di Lecce, con sentenza del 2020, n. 400, seppur pronunciata, nel contraddittorio, con “Italfondiario S.p.a.”, quale procuratrice di “Sestino Securitisation S.r.l.”, cessionaria dei crediti di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a.

La Corte di Appello, nientemeno, così statuiva: i) ribadiva la natura c.d. omnibus della fideiussione prestata dall’appellante per la “Nuova Domus S.r.l.”; ii) disattendeva la doglianza in ordine alla intervenuta prescrizione del credito; iii)1 dichiarava infondata anche la censura con cui l’appellante aveva contestato la presunta indeterminatezza delle somme richieste con il decreto ingiuntivo opposto, con particolare riferimento alle somme indicate come “interessi di mora”, nonché alla legittimità del sistema di ammortamento “alla francese”, in riferimento al calcolo delle rate; iv) si rimarcava, infine, disattendendo la corrispondente doglianza, che “il contratto di mutuo in scrutinio prevede espressamente che gli interessi di mora siano conteggiati sulla intera rata scaduta, comprensiva quindi anche degli interessi di ammortamento. Tanto è conforme alla normativa vigente all'epoca di conclusione del contratto (1986)”.

Per la cassazione di questa sentenza proponeva ricorso il fideiussore, affidandosi a tre motivi: (I) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1419, 1421, e 1422 cc, nonché dell’art. 2 della Legge n. 287 del 1990 – Mancato rilievo di ufficio della nullità totale del contratto di fideiussione omnibus - Insussistenza del credito – d art. 360, comma 1, n.3 cpc ”, contestandosi alla corte distrettuale il mancato rilievo d’ufficio della nullità della fideiussione omnibus prestata dal fideiussione, in ragione di quanto sancito dal provvedimento della Banca d’Italia del 2 maggio 2005, n. 55. (II) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss cc, per violazione dei canoni ermeneutici nella interpretazione di contratti, con particolare riferimento all’art. 10 del Capitolato dei Patti Generali di Mutuo, allegati al contratto di mutuo fondiario – Art. 360, comma 1, n. 3 cpc”. (III) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cc, in tema di distribuzione dell’onere della prova, e dell’art. 115 cpc – Indeterminatezza delle somme richieste dalla banca; violazione e falsa applicazione degli artt. 1283 cc, in tema di divieto di anatocismo, e 1284 c.c. sul saggio di interessi: il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cpc”.

Resisteva, con controricorso, illustrato anche da memoria, giusta art. 380 bis 1 c.p.c., “Dovalue S.p.a.” (nuova denominazione assunta da “DoBank S.p.a.”), nella qualità di procuratrice di “Sestino Securitisation S.r.l.”

Rimaneva solo intimata, invece, Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.

Il ricorso del fideiussore è stato respinto; e sono state poste, a suo carico, le spese del giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.

Il primo motivo di ricorso per cassazione è stato reputato insuscettibile di accoglimento.

La ragione del mancato accoglimento appare essere di ordine, squisitamente, processuale.

Ben si saprà, effettivamente, che, qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già allegati, in toto, nei precedenti gradi di giudizio, dalla parte che la invoca, successivamente, in sede di legittimità, non è consentito, al giudice, procedere, d’ufficio, a tali accertamenti; di guisa che la rilevabilità officiosa della nullità devesi considerare circoscritta alla sola valutazione, in iure, dei fatti già – perentoriamente – allegati nei precedenti gradi di giudizio (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass 20713 del 2023; Cass nn. 2607, 5038, 5478, e 10712 del 2024)2.

Alteris verbis, il fideiussore avrebbe dovuto, tempestivamente, allegare, nei precedenti gradi di giudizio, i fatti costitutivi funzionali a fondare la nullità da lui, di poi, invocata3.

Tanto non risulta essere avvenuto nel caso di specie.

Il secondo motivo di ricorso è stato reputato, in parte, inammissibile, e, in parte, infondato.

In particolare, l’inammissibilità è stata rinvenuta atteso che il ricorrente si dilunga sulla “pretesa corretta interpretazione” dell’art. 10 del capitolato delle condizioni generali del mutuo; senza, tuttavia, minimamente indicare, come il giudice a quo avrebbe violato il canone ermeneutico – riguardante l’esegesi negoziale – indicato ed evocato in atti4.

La censura è infondata, invece, nella parte in cui si pretende di far decorrere il termine di prescrizione, dal 01.07.1997, piuttosto che dalla data (7 novembre 2012) di notificazione del precetto da parte della banca5. Non v’è chi non veda come, quest’ultima notifica, per costante giurisprudenza di legittimità, equivalga a volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa individuabile nella previsione di cui all’art. 15 del DPR 7 del 1976 (vedi Cass 12639 del 2008; 20449 del 2005; n. 9369 del 2024). Sicché non risulta altrimenti controvertibile l’assunto in forza del quale, nella specie, una siffatta manifestazione di volontà (giusta art. 1456 cc) devesi rinvenire nella notifica dell’atto di precetto al mutuatario inadempiente (giustappunto: del 7 novembre 2012); tanto implicando, allora, che, solo da tale data, dovevasi considerare, concretamente, divenuto esigibile– con conseguente decorso, solo da tale data, del relativo termine prescrizionale – il credito, di poi, monitoriamente, azionato, dalla banca, nei confronti del fideiussore.

Il terzo motivo di ricorso, altresì, si è rivelato insuscettibile di accoglimento.

Esso, invero, è apparso, sostanzialmente, volto ad ottenere un nuovo esame di merito sulle corrispondenti questioni esaminate dalla Corte distrettuale, non ammesso, nientemeno, durante il giudizio di legittimità6.

Ulteriormente, altresì, due rilievi giuridici – meglio infra esposti – hanno consentito il rigetto di tale ultima censura.

Segnatamente: ii) giusta Cass n. 8093 del 2023, in tema di mutuo fondiario, stipulato anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. 385 del 1993, il mancato pagamento di una rata comporta, ai sensi degli artt. 14 del D.P.R. n. 7 del 1976, 16 della L. n. 175 del 1991 e 38 del R.D.L. n. 646 del 1905, l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull’intera rata, inclusa la parte che rappresenta gli interessi di ammortamento, configurandosi una speciale ipotesi di anatocismo legale, che si sottrae al divieto generale di cui all’art. 1283 cc, poiché solo la disciplina successiva al D.Lgs. 385 del 1993, trasformando il credito fondiario in un contratto di finanziamento a medio e lungo termine, garantito da ipoteca di primo grado su immobili, ha implicato l’operatività delle limitazioni di cui all’art. 1283 cc”. (in senso sostanzialmente conforme, cfr. Cass. n. 25412 del 2013); iii) giusta Cass SU n. 15130 del 2024, “in tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento ‘alla francese’ di tipo standardizzato tradizionale, la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori non è causa di nullità parziale del contratto, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto, né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti”.

Volendo approfondire il tema della capitalizzazione alla francese, si prenda in considerazione quanto di seguito disposto.

Ben si saprà come – in quella vicenda processuale – il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 19 luglio 2023, aveva disposto il rinvio pregiudiziale degli atti, peraltro, ex art. 363-bis c.p.c., alla Corte di Cassazione, avente ad oggetto l’interpretazione delle conseguenze giuridiche derivanti dalla omessa indicazione, all’interno di un contratto di mutuo bancario, del regime di ‘ammortamento c.d. alla francese’ (e, in particolare, delle modalità con cui vengono composte le singole rate di rimborso e determinati gli interessi in relazione al capitale).

Nella Comunità degli interpreti vi era una querelle sulla tematica de qua evocata.

Secondo una prima ricostruzione esegetica, da tale omissione non sarebbero derivate conseguenze di sorta, né in punto di determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto del contratto, giusta art. 1346 cc, né di rispetto della trasparenza bancaria (giusta art. 117, comma 4 T.U.B.), che prescrive l’indicazione del tasso di interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticate dalla banca.

Diversamente, in ossequio ad una diversa impostazione ermeneutica, la mancata indicazione del regime di ammortamento (c.d. “alla francese”) ben avrebbe potuto incidere sul contratto di mutuo in termini di validità. Quest’ultima ipotesi implica che la mancata esplicitazione, nel contratto, del regime (‘alla francese’) di capitalizzazione degli interessi, renderebbe indeterminato il tasso; e ciò comporterebbe una violazione del requisito della forma ad substantiam e, quindi, la nullità (parziale), ai sensi degli artt. 1346, 1418, comma 2 cc e 117, commi 2 e 4 del T.U.B.

Le Sezioni Unite, come noto, hanno aderito al primo orientamento sopra riportato.

Siffatta decisione è, indiscutibilmente, destinata a influenzare il contenzioso bancario sui mutui bancari. 

Secondo alcuna parte degli interpreti, occorrerebbe evidenziare “la portata limitata della sentenza”, in quanto circoscritta ai “mutui a tasso fisso”, con piano di ammortamento alla francese, allegato al contratto.

Tuttavia, non v’è chi non veda come il Collegio abbia ritenuto di doversi pronunciare, enunciando la regula iuris, con riferimento ai piani di ammortamento “ alla francese” standardizzati “tradizionali”, la cui legittimità, peraltro, è apparsa confermata dalla pressoché granitica giurisprudenza di merito.

Né sembra potersi fare a meno di considerare come la validità di questa tecnica di capitalizzazione sia stata, altresì, attestata, relativamente ai profili matematico-finanziari, dal “ Rapporto Scientifico dell’Associazione per la Matematica Applicata alle Scienze Economiche e Sociali” (“AMASES”), n. 2022/1, intitolato “Anatocismo nei piani di ammortamento standardizzati tradizionali ”.

Certamente, la portata della statuizione avrà un impatto dirompente, posto che non si può prescindere dai recenti dati forniti da Banca d’Italia (e, segnatamente, nel “Rapporto sulla Stabilità Finanziaria n. 1/2024 ”), secondo cui i mutui a tasso fisso sono circa due terzi del totale della casistica negoziale.


1 Circa il primo aspetto di tale doglianza, si rilevava “la sua assoluta infondatezza, giacché, nel ricorso per decreto ingiuntivo, si fa espresso riferimento all’applicazione, sulle rate semestrali e sul capitale residuo, del tasso convenzionale, quale quello previsto all’art. 10 del contratto di mutuo nella misura del 16,10% annuo, - pure espressamente richiamato nel provvedimento monitorio opposto - pertanto alcuna indeterminatezza può ravvisarsi”. Quanto alla richiesta di verifica della correttezza dei calcoli, in concreto, effettuati dalla banca, la doglianza veniva qualificata come assolutamente generica, connessa ad una richiesta di indagine tecnica, disattesa dal primo giudice, perché meramente esplorativa; la quale, quindi, non meritava accoglimento, non avendo la parte formulato specifiche e conferenti censure, né all’iter argomentativo del Tribunale, né al criterio di calcolo operato in concreto dalla banca. Con riguardo, invece, alla contestata legittimità del mutuo con ammortamento “alla francese”, il cui utilizzo avrebbe violato il divieto di anatocismo, ex artt. 1283 e 1284 cc, si condivideva, esaustivamente, spiegando le ragioni del proprio convincimento, le argomentazioni già svolte dal primo giudice, che aveva ritenuto conforme, a diritto, il piano di ammortamento “alla francese”.

2 Se è vero che un’eventuale nullità della fideiussione omnibus si sarebbe anche potuta rilevare, d’ufficio, in appello – ciò, tuttavia, avrebbe richiesto che l’allegazione dei fatti posti a base della invocata nullità fosse, già, tempestivamente, avvenuta, con precipua deduzione, nei precedenti gradi di giudizio. In proposito, sono state richiamate le più che esaurienti argomentazioni giurisprudenziali (Cfr Cass. n. 19401 del 2024), su questione assolutamente analoga, laddove si è osservato che le Sezioni Unite si sono occupate, ampiamente, del problema della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 12 dicembre 2014, n. 26242, i cui princìpi sono stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass 19251 del 2018; Cass 26495 del 2019; Cass 20170 del 2022; Cass 28377 del 2022). In quella sede è stato affermato, tra l’altro, che, nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo. Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile, nonché le relative tempistiche, costellate di scadenze perentorie, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in termini, quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare, ex officio, avrebbero potuto e dovuto essere, tempestivamente, allegati, così da consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto.

3 Nel caso in esame, peraltro, l’accertamento sulla fondatezza, o meno, dell’eccezione di nullità (riguardante, invero, la nullità della fideiussione, in relazione allo specifico profilo della violazione della normativa antitrust, alla stregua di quanto sancito nel provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005, nonché da Cassazione civile, sez. un., 30/12/2021, n.41994) – che, quando proposta, per la prima volta, in appello, era evidentemente ammissibile, in quanto “eccezione in senso lato”, anche al di là dei limiti e delle preclusioni processuali ormai maturate – poggia su circostanze meramente fattuali. Giustappunto, si tratta di circostanze di fatto che il ricorrente avrebbe dovuto, ritualmente, introdurre, nonché chiedere di provare, indicandone i mezzi istruttori da utilizzarsi, a tale scopo, già in primo grado. Segnatamente, si tratta delle evenienze riguardanti: (i) il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità; (ii) la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame, da parte della Banca d’Italia, nel provvedimento in precedenza richiamato; (iii) la concreta riferibilità di quanto sancito in quest’ultimo, frutto di accertamenti, che avevano riguardato un intervallo temporale, ricompreso tra il 2002 ed il 2005, ad un contratto di fideiussione, stipulato in epoca ampiamente anteriore, ad esso, nel febbraio 1986, con successiva estensione, avvenuta l’anno successivo; (iv) la circostanza che il medesimo ricorrente, certamente, non avrebbe sottoscritto quella fideiussione, in assenza delle clausole contestate. A quest’ultimo proposito, non v’è chi non veda come: i) giusta Cass SU 41994 del 2021: “i contratti di fideiussione ‘a valle’ di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 cc, in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”; ii) come, altresì, sancito da Cass n. 18794 del 2023: “il concetto di nullità parziale, di cui all’art. 1419, comma 1 cc, esprime il generale favore dell’ordinamento per la conservazione, ove possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, ed il carattere eccezionale dell’estensione all’intero contratto della nullità che ne colpisce una parte o una clausola; conseguentemente, spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto”).

4 Come, anche, recentemente, ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 7978 del 2023), il sindacato sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento, di fatto, riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi - al di là della indicazione degli articoli di legge in materia -in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato); nonché nel caso di riscontro di una motivazione illogica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo, in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass SU 2061 del 2021; Cass 2465 del 2015; Cass 10891 del 2016). La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. Cass 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass SU 2061 del 2021; n. 28319 del 2017; n. 25728 del 2013).

5 È noto, poi, che la risoluzione di diritto di un contratto, prevista dai contraenti con apposita pattuizione, quale conseguenza dell’inadempimento di una determinata obbligazione, non si verifica automaticamente, ma solo nel momento in cui il contraente, nel cui interesse la clausola sia stata pattuita, comunichi; all’altro contraente inadempiente, che intende avvalersi della clausola stessa (cfr., Cass 9639 del 2024). Ciò è vero e non altrimenti confutabile atteso che quando il diritto potestativo di risolvere il contratto, in forza di tale clausola, risulti proposto con “domanda giudiziale” (cfr., sul punto, da ultimo Cass 9639 del 2024), la risoluzione retroagisce al momento della domanda e non ad un momento anteriore (così Cass. n. 3575 del 1975, ribadita, in motivazione, dalla più recente Cass 9639 del 2024). Né contrasta con tale conclusione il disposto dell’art. 1458 cc, giacché se è vero che tale norma si applica pure alla risoluzione ex art. 1456 cc (cfr., in motivazione, Cass 3455 del 2015), essa, nello stabilire che la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, non si applica ai contratti ad esecuzione continuata e periodica, quale deve ritenersi quello di finanziamento da cui derivava il credito azionato in via esecutiva. Può ragionevolmente ribadirsi, inoltre, il principio di Cass. n. 2366 del 1968 (che, sebbene risalente, non risulta essere stato successivamente smentito), secondo cui, in tema di prescrizione, occorre distinguere il termine per l’esercizio della facoltà di emettere la dichiarazione risolutoria, ex art. 1456 cc, che decorre dalla data dell’inadempimento, dal termine per l’esercizio delle azioni che presuppongono l’avvenuta risoluzione, termine, questo ultimo, che decorre appunto dalla data in cui la fattispecie risolutoria si è perfezionata, a norma del secondo comma dello articolo predetto. Va rimarcato, poi, che la disposizione di carattere generale, dell’art. 1186 cc, che consente al creditore di esigere immediatamente la prestazione anche quando per essa sia stato stabilito un termine nell’interesse del debitore, se questo è divenuto insolvente o ha diminuito per fatto proprio le garanzie o non ha dato le garanzie promesse, non postula il conseguimento di una preventiva pronuncia giudiziale, né la formulazione di un’espressa domanda, potendo essere il diritto al pagamento immediato virtualmente dedotto con la domanda giudiziale (cfr. Cass 20042 del 2020; Cass. n. 5371 del 1989). A ciò dovendosi soltanto aggiungere che la disposizione suddetta è posta a favore del creditore, sicché, lungi dal potersi ritenere che la stessa operi automaticamente, al semplice verificarsi, cioè, di un inadempimento, deve opinarsi che la stessa postuli comunque, oltre alle altre condizioni ivi previste (insolvenza del debitore o avvenuta diminuzione, da parte sua, delle garanzie offerte), una manifestazione di volontà del creditore medesimo di volersene avvalere.

6 Dovendosi qui opportunamente solo ricordare che: i) la censura mostra di non tenere in alcun conto la costante giurisprudenza di legittimità, concernente le fattispecie, in cui si pone una concreta questione di malgoverno, di quanto sancito dagli artt. 2697 cc (configurabile esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n.5 cpc (Cfr Cass. nn. 19371, 17201, 15032 e 10794 del 2024) e 115 cod. proc. civ. (ravvisabile solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge. Cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass 19371, 17201, 11069, 5375 del 2024; Cass., SU, n. 20867 del 2020);


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