Accesso abusivo difensivo

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Sentenza

Commento dell'Avv. Elena Berto


La fattispecie concreta de qua si riferiva ad una vicenda giudiziaria di separazione, nell’ambito della quale si era innestata una condotta di acceso abusivo “informativo-bancario”, giusta art. 615 ter c.p.; per via della necessità “difensiva”, paventata dall’ex moglie, di conoscere i concreti “volumi reddituali” del proprio partner, tramite accesso al c.d. home banking di quest’ultimo, con la finalità di definire “l’effettivo” quantum debeatur dell’assegno di mantenimento, per lei e la figlia, stante la fine del rapporto coniugale.

La risoluzione della vicenda resa oggetto di rappresentazione passa attraverso l’analisi di due ordini diversi questioni: (i) in primo luogo, la valutazione in ordine all’inveramento della fattispecie incriminatrice evocata, alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 615 ter c.p.; (ii) e, in secondo luogo, la valutazione in ordine all’operatività scriminante dell’esercizio del diritto di difesa.

Quanto al primo profilo, notorio, invero, risulta essere il principio di diritto, in ossequio al quale integra il delitto previsto dall’art. 615 ter cod. pen., non solo la condotta di colui che si introduca, abusivamente, in un sistema informatico protetto, ma, altresì, quella di chi, pur autorizzato ad accedervi, vi si trattenga, contro la volontà espressa o tacita di chi abbia il diritto di escluderlo, per finalità diverse da quelle per le quali era stato abilitato (Cfr, ex multis, Cas. Pen., Sez. 5, n. 24583 del 18/01/2011; Cass. Pen., Sez. Un., n. 4694 del 27/10/2011).

Sicché ove le finalità siano diverse da quelle per le quali l’accesso era stato, inizialmente, autorizzato, dal titolare, l’ingresso non può che appalesarsi sempre illecito, non potendolo ritenere sorretto da un’autorizzazione data per “ragioni difformi”. Di talché, l’avere agito per scopi differenti da quelli per i quali era stata data l’autorizzazione, equivale ad agire senza autorizzazione, dovendosi presumere la contraria volontà implicita del titolare.

Siffatta ratio è strettamente correlata alla natura giuridica di reato di “pericolo”.

Venendo, in secondo luogo, alla trattazione dell’operatività della scriminante, si prenda in esame quanto di seguito disposto.

Già durante il giudizio di merito, si era esclusa la ricorrenza della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di difesa, argomentando, innanzitutto, sulla base di una rilevante pronuncia in termini (Cfr Corte, Sez. 5, n. 52075 del 29/10/2014), secondo cui “la tesi che l’accesso abusivo ad un sistema informatico protetto sia scriminato dall’esercizio di un ‘diritto’, allorché l’accesso faccia comodo all’agente per carpire dati utili alla sua difesa in giudizio, si fonda su una lettura personalistica e distorta della norma penale (nella specie, dell’art. 51 c.p.) e sulla assunzione di un concetto onnivoro del diritto di difesa, che non trova riscontro nella tradizione giuridica italiana ed europea ed è disatteso dalla disciplina positiva delle investigazioni difensive. In realtà, per unanime interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, il diritto che scrimina è quello che, quale che sia il suo posto tra le situazioni giuridiche soggettive (diritto, diritto potestativo, potestà, facoltà), attribuisce, al soggetto, il potere di agire per la sua soddisfazione, sacrificando gli altri interessi con esso contrastanti. È necessario, però, che l’attività posta in essere costituisca corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto e non trasmodi in aggressioni della sfera giuridica altrui, che sia estranea al campo applicativo del diritto azionato. Nella specie, il diritto di difesa in giudizio si compendia in una serie di diritti e facoltà disciplinati dall’ordinamento positivo, nessuno dei quali autorizza intromissioni nella sfera giuridica delle controparti processuali o di altri soggetti processuali, né l’esercizio di poteri autoritativi riservati agli organi pubblici. Il richiamo dell’art. 51 c.p. è, pertanto, decisamente errato. Né l’attività posta in essere dall’imputato può essere ricondotta al paradigma delle investigazioni difensive, sia perché tale attività è riservata al difensore (e non all’imputato), sia perché la stessa deve arrestarsi di fronte agli ambiti di esclusivo dominio privato, come dimostrato dalla previsione dell’art. 391 sexies c.p.p.”.

Non v’è chi non veda come la condotta di cui si adduce l’irrilevanza penale, per via dell’operatività della scriminante, deve, pur sempre, costituire una “estrinsecazione delle corrette facoltà legittime”, inerenti al diritto, che si pretende di avere esercitato. Evidentemente, devesi escludere che l’introduzione, in un sistema informatico bancario assistito da credenziali, possa essere considerata una ‘facoltà legittima’, collegata al diritto di difesa. La causa di giustificazione in parola, effettivamente, non può essere valutata come una “scriminante in bianco” che, indiscriminatamente, consente di dare rilievo a qualunque diritto, comunque, esercitato.

Dal complesso delle norme che regolano le cause di giustificazione, nientemeno, si evince che sotteso al riconoscimento di ciascuna delle scriminati vi è una rigorosa “comparazione degli interessi in gioco”, strettamente correlata a determinate circostanze, che consentono di privilegiare una situazione a discapito di un’altra, così come di attribuire preminenza ad un interesse in luogo di un altro.

Per altro verso, in linea di massima, si deve trattare di condotte ‘necessitate’ nel senso che il risultato ottenibile attraverso dì esse, tendenzialmente, non deve essere diversamente realizzabile, tramite il ricorso a differenti azioni ovvero omissioni.

Tale cornice teorica e disciplinare, ad onore del vero, non è estranea, altresì, alla causa di giustificazione dell’esercizio del diritto, rispetto alla quale il diritto viene in rilievo, non in sé per sé, ma in relazione ad una contrapposta situazione giuridica, anch’essa suscettibile di tutela, rispetto alla quale la condotta posta in essere integrerebbe un reato se non fosse supportata dall’esercizio di un preminente diritto.

Sicché, non essendo compresa, nel diritto di difesa, la facoltà di introdursi abusivamente, sia pure a fini difensivi, nel sistema informatico altrui, si tratta di stabilire entro quali limiti tale introduzione possa ritenersi scriminata, rispetto al caso concreto.

Ebbene, volgendo lo sguardo al caso di specie, nonché declinando i principi sopra esposti nella fattispecie concreta, non può ritenersi scriminata la condotta posta in essere dall’imputata; dal momento che essa, per supportare la richiesta dell’assegno di mantenimento, per sé e la di lei figlia minore, ben avrebbe potuto avvalersi degli strumenti che il codice di procedura civile appresta allorquando si tratta di acquisire documentazione che non è nella disponibilità della parte, e che può essere ottenuta mediante l’ordine dell’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 210 codice procedura civile.

In forza delle ragioni sin qui esposte, è derivata la declaratoria di inammissibilità del ricorso.


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